NOTRE-DAME DE PARIS, di Victor Hugo
Un guazzabuglio umano ai piedi di un’impassibile, incombente sontuosa Sfinge, Nostra Signora di Parigi.
Soltanto un pazzo matricolato, visionario storico, fantasioso registra, abile maestro nel trasmutare l’immagine in realtà; genio presuntuoso, abbagliante oratore, conoscitore della sottile filosofia umana, umorista greve, fastidioso e noioso perfezionista dei dettagli – ai più considerati superflui – torbido, confuso, scorretto ed eccessivo, poteva ideare un libro del genere. E già!
Amore, passione, gelosia, ferocia, tenerezza, agnizione, la Bella e la Bestia, Uccelli di Rovo, Cenerentola e la sua scarpina; principi narcisi e distratti, re avari, popolo cencioso e deforme, giudice spietato verso ogni forma di diversità, spettatore godereccio di forche e streghe. Pianto e riso, gioia e dolore. Superficie e profondità. Di tutto e di più.
Caro sig. Victor Hugo, geniaccio del Romanticismo francese, come ha fatto a concepire a soli 29 anni un mostruoso capolavoro, superando se stesso? Destino, fatalità, Provvidenza Veggenza Genio.
Chi lo sa. Forse il segreto sta tutto racchiuso in quelle maestose Torri che dominano la città dell’amore, nei vetri smerigliati delle grandi finestre ogivali irradiati dai raggi di sole – caleidoscopio di immagini mutanti e imprevedibili – , in quelle guglie che si scagliano come folgori dal sottosuolo verso il cielo squarciando le nuvole, nel suono assordante dei campanacci, sorelle e fratelli del nostro Quasimodo, o nella veste bianca della bella Esmeralda, solare e stupidotta zingarella della Corte dei Miracoli? Oppure, ancora, nella veste nera e spettrale dell’arcidiacono Frollo dalle mani gelide e dal cuore ardente? Nelle croci e nelle tane dei topi? Chi lo sa.
“L’amore vince sempre” soleva dire mia madre. Quale amore? Non aveva letto “Notre Dame de Paris”. La giustizia degli uomini, schiava dei pregiudizi, delle apparenze e delle formule, non salva l’amore puro, lo intossica e lo avvelena.
“Voce di popolo voce di Dio” continuava.
Povera mamma. Il popolo è schiavo dei bisogni e Dio è lontano, comodamente seduto sul suo trono e crea inutili martiri; mentre la Signora Madre, – umana vergine di quel figlio che Dio ha sacrificato per resettare il mondo dopo Sodoma e Gomorra – con la sua pietrificata magniloquenza, sta a guardare l’eterna competizione fra il bene e il male nelle piazze e nei vicoli alla luce di una debole lanterna.
Una cosa è certa nella continua lotta tra Scilla e Cariddi “ama te ipsum ante omnia”
Un consiglio.
Percorrete le enumerazioni, gli elenchi, i cataloghi, le citazioni latine, la presentazione di personaggi sconosciuti etc, etc come flusso musicale vincendo l’inevitabile quanto l’essenziale noia. Poiché soltanto schiavizzando i lettori e le lettrici Victor Hugo ha dato la possibilità a questi/e di godere liberamente la storia nella sua spettacolarità.
Buona lettura.
“C’era tra la vecchia chiesa e lui una simpatia istintiva e profonda, tanta affinità magnetica, tanta affinità materiale, che egli vi aderiva quasi, come la tartaruga alla sua corazza. La rugosa cattedrale era infatti la sua corazza”
Recensione di Patrizia Zara
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