NOTTI INVISIBILI, GIORNI SCONOSCIUTI, di Bae Suah (ADD)
Un trip pazzesco.
Non è molto facile dire qualcosa del romanzo della scrittrice coreana, l’unico tradotto, per
ora, in italiano. È considerata la più anticonformista e audace autrice del panorama letterario
sudcoreano. Se conoscete un po’ la letteratura di quel paese, beh, qui siamo lontani anni
luce da quanto è più noto. Perché non è un romanzo, cioè lo è, ma non ha una vera e
propria trama, si potrebbe parlare di “romanzo liquido”, o un romanzo dalla trama “liquida”.
Sembra più un esperimento narrativo che si muove nel campo del surreale, del sogno, del
doppio o, anche, delle ombre. Molte ombre, che iniziano con Ayami, una giovane donna
impiegata in un teatro sonoro, dove si recano spesso non vedenti, ma il teatro, all’inizio del
racconto, è al suo ultimo giorno di attività. Una sorta di oscurità serpeggia nella narrazione,
muovendosi tra cecità e buio, nella notte di una bollente e afosa Seoul. Il buio è compensato
dalla scrittura evocativa di Bae Suah che rende tangibili le sensazioni che ruotano attorno ai
vari personaggi. Ombre? Fantasmi? Sogni? È il caldo soffocante che crea fenomeni
allucinatori nella mente di Ayami? Perché a volte sembra di essere finiti dentro al sogno di
qualcuno. Avete presente che nei sogni (almeno nei miei) le persone non parlano, ma noi
percepiamo esattamente le loro parole come se fossero dei suoni, ma non lo sono? Alcune
delle esperienze di Ayami sono proprio così.
Ma non è solo questa la stranezza della storia. La parte più strana è che i personaggi del
racconto è come se si dilatassero, diventassero altri, scivolando in situazioni diverse eppure
legate alla vita di Ayami (o chi si pensa possa essere lei, ma non aggiungo altro: leggetelo!).
Storie che si intersecano, personaggi diversi con la stessa storia calata in contesti differenti.
Per fare questo, Suah ripete con una certa frequenza espressioni o frasi identiche in
situazioni indipendenti, una scelta che esalta la dimensione surreale della narrazione.
Nel racconto viene nominato La civetta cieca di Sadeq Hedayat, considerato il padre della
letteratura persiana moderna. Ovviamente non lo conoscevo e sono andata a fare qualche
ricerca; questo suo romanzo (ormai considerato un classico) è definito “kafkiano” perché
pone dei quesiti a cui nessuno riesce a dare risposta. Anche Hedayat ha usato delle
espressioni identiche in situazioni diverse in modo ripetitivo, ma pare che avesse scritto il
romanzo sotto l’effetto dell’oppio, di cui faceva largo uso. Mi viene da pensare che Suah
possa essersi fortemente ispirata a quello stile per comporre Notti invisibili, giorni
sconosciuti.
Come nei sogni, ma come anche in certi trip, il confine tra realtà ed illusione è molto labile e
il racconto diventa ipnotico e disorientante: “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”.
Che è anche il titolo di una mostra fotografica esposta nell’ex teatro sonoro in cui lavorava
Ayami. E mi son dimenticata di dirvi che lei è un’attrice di teatro, e il recitare prevede di
impersonare soggetti diversi… potrebbe essere questa una spiegazione alla dilatazione dei
personaggi. Anche se credo che Suah non abbia pensato ad una reale spiegazione per
questo romanzo. Deve trovarla il lettore. Ma non è facile, perché lei lo spiazza e non lo aiuta
per nulla
Recensione di Chiara Carnio
NOTTI INVISIBILI, GIORNI SCONOSCIUTI Bae Suah
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