NOTTURNA GLORIA, di Emanuele Martinuzzi (Robin)
Con queste parole voglio descrivere quello che ho percepito, leggendo l’ultima silloge di Emanuele Martinuzzi “Notturna gloria”. Le città evocate da Emanuele esprimono il mutare dell’animo, il cammino alla scoperta della verità. Le città, come stazioni di un” io interiore”, vengono sorvolate dal poeta, con un volo che plana sulla natura dell’uomo, ogni sentimento è descritto con una realtà che sfuma in un mondo parallelo, romantico ed eterno. L’evocazione dell’universo è totale.
Si toccano le rovine delle città, nel silenzio di “un arcobaleno morente“, perché chi vive intensamente la vita, sa che in certi momenti i colori svaniscono nel buio, per poi riapparire con il ritorno della luce. Ma esiste la percezione del poeta, che supera ogni senso, quella rara vibrazione che ci fa avvertire, quando ci prende per mano e ci fa attraversare le città evocate.
Entriamo nell’ombra della coscienza umana, nella nostalgia dei tempi vissuti, dove lo stupore era colto solo dagli occhi dolci dell’infanzia. C’è una ricerca tenera di speranza, in un angolo nascosto, dove Emanuele può ritrovarsi e sentirsi rassicurato. Come il grembo di una madre, come “una foglia che nel deserto trova l’acqua“.
C’è infine la voglia di rinascita, ritorna l’accettazione della vita in tutte le sue condizioni, nel bene e nel male. E con essa la sua sacralità. Un’aurora che sorge ciclicamente e che rimane immutata nel tempo.
Cit
“Quello che cerchiamo è il calore di perdersi,
una parola in rovina che annaspi nel sentimento,
ira e fuga, mosaico di labbra, aurora
dipinta con ciò che scolora”.
Dal crepuscolo alla luce di Sabina Perri
(recensione su “Notturna gloria” di Emanuele Martinuzzi)
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