NOTTURNO VENEZIANO, di Maria Serena Alborghetti (Il Poligrafo)
Raramente mi è capitato di leggere libri scritti da persone che conosco. Devo ammettere che la prima spinta che mi anima è la curiosità e il mio spirito critico nei confronti di un amico che fa quello che avrei sempre voluto fare io senza riuscirvi. Così è stato anche per NOTTURNO VENEZIANO, con l’aggravante che ero in un periodo, mai capitatomi prima, di rifiuto della lettura, per cui ultimamente il tavolino a fianco del mio letto è carico di libri di autori anche famosi e raccomandatimi o regalati da amici, che comincio e poi lascio a metà perché li trovo noiosi o troppo complicati ma in generale non avvincenti. Quindi immaginatevi il mio stupore, dopo le prime pagine, nello scoprire quel piacere, quel gusto ipnotico, quella voglia di continuare a girare le pagine perdendo la nozione del tempo. In effetti si tratta di un libro pieno di qualità e dà grande piacere nella lettura.
Potremmo dire che si tratta di tre storie in una. In ognuna di esse vi è una diversa ambientazione, situazione, ritmo narrativo. Fil rouge salvifico è la musica, che in ciascuna parte assume un ruolo sempre più importante fino a condurre il protagonista a riprendere in mano la propria vita. Si potrebbe dire che la storia è raccontata con uno stile da sceneggiatura cinematografica, dove ambientazioni, luci, colori, voci e suoni e perfino odori intervengono a stimolare il lettore senza troppe pedanterie. Un altro pregio del libro, infatti, è il perfetto equilibrio sempre presente: la descrittività, l’introspezione, la sensibilità emotiva sono sviluppate con misura, senza diventare mai troppo insistenti o esagerate. I momenti di amore, violenza o dolore sono raccontati senza compiacimento e quasi con pudore: poche parole, un gesto, uno sguardo.
Per dare una misura del piacere con cui lo si legge, posso dire che l’ho riletto una seconda volta e, alla distanza di meno di un anno, l’ho gustato ancora di più. Peccato che, alla fine del travagliato racconto del protagonista, il finale quasi struggente e consolatorio, arrivi troppo in fretta….si avrebbe voglia di leggerne ancora
Recensione di Joan Michela Sardella
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