OBSERVATORY MANSIONS, di Edward Carey (La nave di Teseo)
Romanzo surreale e inquietante, dai molteplici significati. I protagonisti di quest’opera sembrano essere un gruppo di derelitti sopravvissuti a sé stessi, incapaci di vivere, immobilizzati in usi e rituali fatti di solitudine, isolamento, immobilità. Coltivano strane abitudini, collezionano oggetti, ossessioni, paure. Talvolta il tentativo di tornare alla vita sortisce effetti deleteri, talvolta fallisce. Il passato è una grandezza perduta: una tenuta signorile è stata trasformata in un insieme di appartamenti, poi caduti in rovina anch’essi. Riuscire a rievocarlo, a riviverlo finisce con l’essere una sorta di psicoterapia, un percorso di autoconoscenza e rivelazione, senza tuttavia rinascita. Molti i temi affrontati: le relazioni umane, l’amicizia, l’amore, la solidarietà, i rapporti familiari, la morte, il dolore… la nevrosi.
Mi dicessero che questo romanzo merita di passare alla storia come capolavoro ci crederei. Eppure non è una lettura veloce né rilassante. Pur scorrevole e semplice nello stile, risulta a volte faticoso proprio per l’inquietudine suscitata dalle bizzarre manie del protagonista (e non solo sue). Fino alla fine si ha l’impressione di non conoscerlo, di non capirlo davvero, di non sapere se aspettarsi un macabro delitto o un finale roseo. Come nella vita, conosciamo qualcuno di cui non comprendiamo a fondo le motivazioni, i misteri, le intenzioni. Questo romanzo ci presenta individui così assurdamente strampalati, eppure così totalmente reali, quali il realismo difficilmente riuscirebbe a produrre, da lasciarci il bisogno di una riflessione supplementare. E forse di un perenne dubbio.
Recensione di Maria Cristina D’amato
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