OLGA, di Bernhard Schlink
«Non le darà disturbo, le piace soprattutto starsene in piedi a guardare». Inizia così “Olga”, il romanzo di Bernhard Schlink, autore tedesco divenuto famoso per “Il lettore”, libro tradotto in 53 lingue, che ebbe successo soprattutto negli Statu Uniti, dando così il via alla versione cinematografica con il volto di Kate Winslet e la regia di Stephen Daldry.
Schlink, ex giudice della Corte Costituzionale, è un docente universitario e uno scrittore di romanzi polizieschi fino a che, nella seconda metà della sua vita, pubblica libri diversi, dove cerca di rileggere la storia del suo paese e al contempo dell’Europa, entrambi segnati irrevocabilmente dalla storia.
In “Olga” si scorge un secolo di storia della Germania. Olga pensa che il suo paese sia così per colpa del cancelliere di ferro, Otto von Bismarck, il fautore della nascita della Germania moderna, il responsabile degli eventi che sono seguiti. Sin dalle prime parole possiamo intravedere alcune caratteristiche della protagonista, che non vuole disturbare, né prendere il centrocampo, preferisce starsene in disparte a guardare, in piedi, vigile e attenta osservatrice.
Olga nasce sul finire del 1800 nella zona della Prussia orientale. I suoi genitori contraggono il tifo e la affidano a dei vicini fintanto non arriva la nonna che se la riporta in Pomerania. La nonna non amava la madre di origine slava di Olga. Tenterà persino di cambiarle il nome. Ma invano: «quando la nonna cercò di spiegarle gli svantaggi di un nome slavo e i pregi di uno tedesco, la fissò come se non avesse alcun senso» (p.11). Olga è una bambina diversa, vuole imparare e le piace la musica. Non ha amici, non si riconosce nei suoi coetanei, se non in Herbert, nonostante appartenga ad una famiglia importante di possidenti terrieri e industriali.
I due ragazzi crescono assieme e s’innamorano. Herbert è attratto dall’infinito, è morboso e ama la corsa: si contrappone a Olga che però ama e vorrebbe sposare. Ma la famiglia non sente ragioni, soprattutto la sorella Viktoria e Herbert non si ribella e accetta il suo destino, non sposerà Olga e continuerà a vederla di nascosto. Parallelamente inseguirà i suoi sogni di gloria fino all’Artico, sulla impossibile rotta del nord-ovest. Lui crede nell’espansionismo germanico, mentre Olga no; lei lo accoglie lo stesso a ogni ritorno, perché lo ama e lo accetta per quello che è, anche se l’opposto dei suoi ideali. È come se sentimenti e aspirazioni individuali fossero due sfere separate; Olga nonostante tutto rimane fedele a se stessa e realizza il proprio desiderio di diventare insegnante contro ogni tentativo di discriminazione.
Nel frattempo la storia procede: la prima guerra mondiale, la repubblica di Weimar e la degenerazione del nazismo fino alla seconda guerra mondiale e l’arrivo dei russi. Il 1945 è il momento più spaventoso. Olga deve fuggire dalla Slesia con le colonne di profughi sotto i bombardamenti fin oltre il Meno, ma resterà sempre in piedi, ostinata e indipendente, nonostante la solitudine e la sordità, in seguito a una brutta febbre. Dopo la guerra, la vita ricomincia. Olga ottiene la pensione e come sarta lavorerà per anni per la famiglia di Ferdinand, colui che prenderà in mano la narrazione della storia e racconterà la sua vita di bambino, di giovane studente contestatore, di uomo sposato e del suo grande legame con la sartina Olga.
Il romanzo è scandito in tre tempi, come tre movimenti musicali, nel primo movimento il narratore suggerisce il tema principale della storia, dall’alto, con leggerezza e delicatezza. Molto viene solo accennato, come il genocidio degli Herero in Namibia. Olga non sa in quale misura Herbert vi abbia preso parte. Sembra quasi un’anticipazione tragica del genocidio più grande che sarebbe stato commesso dopo e di cui- di nuovo- si accennerà soltanto, più tardi, con il personaggio di Eik, il bambino prediletto da Olga che si arruolerà da adulto nelle SS e tornerà dalla prigionia in Russia nel 1955.
Nella seconda parte, il movimento si personalizza e acquista la voce maschile di Ferdinand, l’uomo che forse si avvicina di più all’universo Olga, che ama teneramente, come una madre putativa o un’orientatrice affettuosa, un faro capace di esprimere con dignità il suo umile pensiero, sagace e critico nei confronti degli avvenimenti. Qui si racconta il ritrovamento delle lettere che Olga scrisse a Herbert spuntate miracolosamente fuori e pagate profumatamente. Sono la conclusione e lo svelamento di parecchi segreti. La terza parte è forse la parte più bella del libro: le lettere di Olga, scritte con passione e fiducia, perché lei non si rassegna, e anche quando ormai non ci crede più, lei continua a spedire le sue lettere, lettere che Herbert non leggerà mai.
Una prosa che arriva al cuore quella di Schlink, mai ridondante, amante delle figure femminili, che hanno un tocco in più rispetto a quelle maschili, un po’ “noiose”, come lo stesso Ferdinand viene definito da Olga. Ma Ferdinand è consapevole della grandezza di Olga, che muore a novant’anni in circostanze non troppo chiare (lasciamo al lettore la gioia di scoprire il tocco di scena finale): «Sentii la detonazione. Ero fiero di lei. Che fortuna quando la vita di un essere umano e la pazzia che costui commette si intonano come una melodia e il suo contrappunto! E quando entrambe non solo si intonano, ma sono l’opera della stessa persona!» (p. 221)
Perché la musica è movimento e vita anche quando la vita ci ha reso sordi. Nelle orecchie rimane solo la bellezza delle note e scompare il rumore di una storia troppo ingombrante.
I consigli del Caffè Letterario Le Murate Firenze, di Sylvia Zanotto
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