PER IL GIORNO DELLA MEMORIA – UNA RIFLESSIONE SUL RAZZISMO
È sempre difficile fare un discorso su un argomento così controverso quanto delicato come la Shoah, poiché per trattarlo si vanno a toccare molti tasti dolenti, la maggior parte dei quali, pur dopo oltre 70 anni, sono ancora molto delicati, anche perché, inevitabilmente, si sfocia in campi più specifici come quello del razzismo, il quale è, in fin dei conti, la stessa causa per cui furono perseguitati gli Ebrei dai nazisti e gli Africani resi schiavi nell’America del XIX secolo. Su questi, grazie alla sterminata bibliografia sull’argomento, ci si può fare un’idea più precisa e affrontare un problema così spinoso.
Sì, spinoso e scomodo, purtroppo, perché è assolutamente ignobile e inammissibile, che uomini di una nazione precisa, di un continente preciso con culture e identità precise debbano sopprimere con la forza altri uomini, solo perché non sono come loro, non professano la stessa religione, non hanno il medesimo colore della pelle…
L’esempio di Hitler è uno dei più tristemente famosi: gli Ebrei, secondo il suo pensiero, dovevano essere dapprima rinchiusi in campi di lavoro forzato, per servire la grande Germania e lavorare per l’industria bellica, perché la già allora civilissima Germania degli anni ’30 era assurta, improvvisamente, a nazione modello, superiore a tutte le altre nel mondo e, conseguentemente, anche per razza, come dimostrano chiaramente IL MANIFESTO DELLA RAZZA, del 1938, o l’ENCICLOPEDIA DELL’OLOCAUSTO – tanto per fare qualche riferimento – per non parlare di come evolse la condizione delle minoranze ebraiche presenti nei vari stati europei, che furono occupati dai nazisti, cioè i rastrellamenti e la deportazione nei campi di concentramento aperti per realizzare la “soluzione finale”, come spiegano lucidamente i volumi di Primo Levi, a partire da SE QUESTO È UN UOMO o IL PANE PERDUTO di Edith Bruck, se non LA MEMORIA RENDE LIBERI, toccante testimonianza dell’ancor vivente Liliana Segre, fino ad arrivare all’opera di Maigul Axelsson, IO NON MI CHIAMO MIRIAM, in cui non solo viene ampiamente descritta la vita che conducevano i prigionieri nei campi di sterminio, ma viene anche affrontato il più volte occultato problema del razzismo verso gli zingari, perfino nella neutrale e accogliente Svezia!
E che dire di altri esodi forzati, oltre che di tentato sterminio, dei cattolici Armeni dalla Turchia musulmana, come dimostrano i bellissimi libri di Antonia Arslan, LA MASSERIA DELLE ALLODOLE e LA STRADA PER SMIRNE?
Nel mondo però non ci sono state solo brutture di questo genere, come si ricordava all’inizio: nella storia dell’umanità esiste anche un’altra pagina vergognosa, che sarà sempre ricordata come una delle peggiori mai messa in pratica ad opera dell’uomo bianco su quello nero, per un’assurda presunta superiorità razziale della prima sulla seconda, fissata perfino in leggi proclamate giuste (solo per loro) dai bianchi europei trasferitisi nelle Americhe in cerca di fortuna. Gli stessi bianchi, che dapprima strapparono le terre ai Nativi Americani, cioè gli Indiani Pellirossa, quindi, dopo averli quasi sterminati e rinchiusi nelle riserve (al pari di quello che fecero alle popolazioni Indios dell’America centrale e meridionale), si insediarono sulle suddette terre per coltivare piantagioni di cotone, tabacco e canna da zucchero, in particolare, la cui mano d’opera non si trovava facilmente soprattutto perché quelle del sud, essendo soggette a climi molto più caldi e torridi, avevano bisogno di lavoratori resistenti al lavoro forzato e prolungato sotto al sole cocente e che i bianchi non erano in grado di sostenere per molte ore. Pertanto, essendo già presenti sul territorio minoranze nere provenienti volontariamente dall’Africa, sembrò più semplice e scontato affidarsi a questa gente abituata a vivere in climi simili; solo che da assunzioni (e sfruttamento) più o meno consenzienti, la “ricerca del personale” si era trasformata in una vera e propria campagna di rapimenti e sequestri di persona ai danni di giovani forti e sani prelevati direttamente nell’Africa nera, quindi trasportati, in condizioni disumane, sulle ignobili navi negriere tanto tristemente famose all’epoca, com’è abilmente narrato nella bellissima opera biografica RADICI di Alex Haley e nella meravigliosa trilogia di John Jakes, cioè NORD E SUD, AMORE E GUERRA, INFERNO E PARADISO.
Ma come non ricordare anche le condizioni odierne di tante popolazioni sottomesse con la forza; di minoranze etniche già da tempo stanziali in territori che li ospitano e che, nonostante ciò vengono ancora considerate come abusive, se non addirittura clandestine.
Chissà se un giorno il sogno di vedere scomparire questi soprusi si realizzerà? Quello che però dobbiamo tener presente è che se certe situazioni si sono verificate è perché è stato solo ed esclusivamente per colpa di noi uomini: il che vuol dire che come si è realizzato il male per mano nostra, così si potrebbe realizzare il contrario! Non certo un mondo idilliaco e perfetto, che vive in pace ed armonia in ogni angolo del mondo, ma almeno che non si dimentichi di fare un tentativo per realizzarlo!
Di Lena Merlina
PER IL GIORNO DELLA MEMORIA E PER IL RAZZISMO IN GENERE
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