Un libro che raccoglie eccellenze “Piovevano uccelli”, pubblicato da Iperborea qualche mese fa. Una novità per la casa editrice che ha fatto conoscere agli italiani la letteratura del Nord Europa e che ora per la prima volta attraversa l’oceano e ci propone un’ambientazione nelle immense foreste del Canada. L’autrice Jocelyne Saucier sa coglierne il fascino e il mistero insieme agli odori e i fruscii che le abitano. Una narrazione fluida, delicata e attenta alle sensibilità dei propri personaggi, ultraottantenni, che si nascondono in queste immense foreste. L’autrice ce li mostra senza svelarne troppo i contorni, lasciando alla nostra immaginazione il compito di seguirli con delicatezza e rispetto per le reciproche intimità. Scelta narrativa che si riverbera in una scrittura cristallina, capace di far vedere l’altrove e allo stesso tempo di rispecchiare nella sua fluidità l’hic et nunc del lettore.
E qui è intervenuta la penna di Luciana Cisbani che ha saputo tradurre non solo il romanzo, ma anche i dettagli dell’anima. Tradurre è un’arte che s’impara certo, ma solo se sostenuta da un amore che cresce e si arricchisce a ogni opera dilaniata per poi ricomporla con infinita pazienza e sapienza; tradurre è altresì una scienza che sottende quest’amore non solo con le tecniche e la costanza, ma con la forza e il potenziale della creatività. E infine, ecco la quarta eccellenza, dopo l’editore, l’autore, la traduttrice: l’illustratore, Davide Bonazzi. La copertina “Verso una nuova vita” è una meravigliosa restituzione grafica del romanzo. Gli alberi hanno una forma geometrica, rettangolare; son altissimi e fondono architettura umana e naturale. Come una tenda è possibile dischiudere questa foresta e intravedere gli alberi veri, protetti nel cuore di un luogo vergine e incontaminato. Non a caso è un personaggio femminile che apre il sipario. Potrebbe essere l’autrice stessa o la fotografa che scopre nelle prime pagine del libro questo nuovo mondo abitato da vecchi.
Infine altre due silhouette umane e un cane: il resto lo scopriremo dentro le foreste, dentro il libro, dentro di noi. La struttura dell’opera consente al lettore un viaggio accompagnato verso il tema centrale dell’opera: la vecchiaia e la morte. Ogni capitolo è preceduto da una sorta di introduzione in corsivo dove si spiegano gli antefatti, si aggiungono dettagli ai fatti stessi o si accennano le motivazioni dei personaggi. All’inizio sentiamo le voci e seguiamo le vicende secondo i diversi punti di vista di alcuni personaggi. In seguito la narrazione continua in terza persona e non necessita più il punto di vista diverso. È come se si fossero tutti fusi nella foresta che indica una via di salvezza. La parola chiave di questo libro è la libertà. La comunità che troviamo ha scelto uno spazio vitale oltre quello proposto dalla nostra società. Sono personaggi in trasgressione e quindi non hanno problemi con l’accettazione degli altri, capaci di trasformazione e rinascita a nuova vita. Da vecchi non abbiamo responsabilità. La vecchiaia può essere un bellissimo periodo se non ci sono problemi di salute.
La vecchiaia è anche un privilegio. Non tutti la possono vivere. È una fase della vita in cui possiamo addomesticare la morte. Da vecchi non abbiamo niente da dimostrare. Paradossalmente siamo più vicini alla vita. Questo ci raccontano i bellissimi personaggi che incontriamo trasportati nell’altrove boschivo grazie alla curiosità femminile della fotografa, la prima voce che ascoltiamo. Ci parla anche della sua ricerca: dei grandi incendi. Sono quelli dell’Ontario settentrionale. Tema che solleva la questione climatica. Ci pensava già l’autrice dieci anni fa quando scriveva il libro e ci pensa ancora, dice, preoccupata dalla grande minaccia dovuta all’inquinamento. Saucier vive nel Quebec, non nell’Ontario, ma pur sempre in un luogo boschivo. I tremendi incendi menzionati nel romanzo danno il titolo al libro, attraverso il racconto e il ricordo di vecchi, appunto, che sono sopravvissuti alle fiamme, o che ne hanno raccolto le testimonianze: «Piovevano uccelli le aveva detto. Quando si è alzato il vento e ha coperto il cielo con una cappa di fumo nero, l’aria si è rarefatta, calore e fumo la rendevano irrespirabile per noi come per gli uccelli, che cadevano a pioggia ai nostri piedi […].
Quando le fiamme hanno raggiunto il cielo, aveva detto, era come se stessimo nuotando dentro un mare di fuoco.» (p. 91). Così alla ricerca dei sopravvissuti, la fotografa giunge in un luogo della foresta dove un grande sopravvissuto alle fiamme ha deciso di finire i suoi giorni insieme ad altri. Ted, Boychuck, o con gli altri nomi con i quali è ricordato: «Ted era il nostro modello, la nostra ispirazione, l’anima del luogo, tutti noi avevamo una grande ammirazione per lui. Il ragazzo che aveva camminato tra le macerie fumanti, l’uomo che compariva e scompariva. Una ferita aperta. Ted era una leggenda.» (p.71) Purtroppo, quando la fotografa arriva, Ted non c’è più. Morto? Di morte naturale? Scomparso? Non si sa esattamente come sparisce. Comunque non c’è più. Saucier è affascinata da chi sparisce. Nei suoi romanzi precedenti ci sono sempre dei grandi scomparsi. La scomparsa crea una rottura e le storie si dipanano intorno a quelli rimasti. Qui è l’opposto. Seguiamo chi scompare. Ci addentriamo in un mondo altro. Così ecco che scompare anche una signora anziana. Una zia di un personaggio di contorno, che da giovane era stata rinchiusa in un ospedale psichiatrico senza mai più uscirne. Marie Desneige. Scompare dal mondo e dalla società che l’aveva rinnegata e viene accolta in questa strana comunità di vecchi che hanno deciso di morire liberi, dove porta luce con la sua fragilità e anormalità. Piace. Anche molto. Saucier costruisce questa specie di fata bianca intorno al ricordo di una zia paterna, che era stata rinchiusa in un ospedale psichiatrico all’età di sedici anni e che morirà in una residenza per malati di mente a 82 anni.
Questo libro lo ha scritto per lei: Marie Desneige è una sorta di controcanto, di sovrapposizione melodica, di storia nella storia, laddove le grandi foreste del Canada diventano metafora di vita appartata, di libertà, di scelta. Residenza ultima nella scansione della vita. Oh, come piacciono le persone anziane alla nostra fotografa: «Si era ritrovata ad amarle più di quanto avrebbe creduto. Amava le loro voci logorate, i visi devastati, amava i loro gesti lenti, le esitazioni davanti a una parola che sfugge, a un ricordo che si nega, amava vederli lasciarsi andare alla deriva tra le correnti dei pensieri e poi, nel bel mezzo di una frase assopirsi. La vecchiaia inoltrata le appariva come ultimo rifugio della libertà, dove ci si libera dei propri vincoli e si lascia che la mente vada dove le pare.» (p. 92) Ecco, questo mi auguro vivere nella mia vecchiaia, pur tuttavia riuscendo a provvedere a me stessa, se non in una foresta, in un luogo vicino alla natura. Oggi purtroppo agli anziani vengono negate certe libertà. Io stessa ho difficoltà ad accudire e proteggere la vecchiaia di mia madre. Mi chiede libertà che lei non è più in grado di procurarsi. E io nemmeno. Riflettiamo…
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