Premio Campiello 1972: PER LE ANTICHE SCALE, di Mario Tobino (Mondadori)
Il manicomio di Lucca sorgeva distante dalla città, su una collina verdeggiante di luce, comunità a sé stante, governata da autonome leggi. Il protagonista Anselmo, che altri non è che l’autore psichiatra, riannoda i fili con chi l’ha preceduto, il dottor Bonaccorsi, raccogliendo testimonianze e memorie, per dare una continuità, per comprendere una fratellanza intima che annodi passato e presente.
A differenza del precedente “Le libere donne di Magliano”, le storie dei “matti” emergono qui con minore drammaticità: in ogni delirio Tobino rintraccia una remota scintilla, condivide senz’alcuna superbia il pane quotidiano della malattia, per combattere e fugare gli spettri, che anche in lui seminano dubbi, sollevano la nebbia di angosce sfuggenti.
Ogni umana vicenda evoca una carezza, una tenerezza di fondo, uno spirito di compartecipazione, che semina luce in un campo di tenebre, dove brulicano personaggi che diventano attori di puro presente.
Non mancano pagine, le ultime, in cui si percepisce il cambiamento del vento, vaghi cenni di dissenso a chi vede la malattia come un prodotto della società: Tobino si contrapporrà all’amico Basaglia e alla sua legge 180, subendo per questa sua posizione una parziale damnatio memoriae, che lo marchierà, lui che aveva fatto la Resistenza, come un vecchio conservatore, a tutto danno della sua produzione letteraria, di assoluto merito nel panorama italiano del XX secolo, che oggi pian piano torna ad affacciarsi alla meritata luce
Recensione di Riccardo Del Dotto
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