Premio Campiello 1990: LA LUNGA VITA DI MARIANNA UCRÌA, di Dacia Maraini
Saga famigliare al femminile, che richiama “Mille anni che sono qui”, per me, più bello e movimentato per la rappresentazione della vita quotidiana in un paese della Basilicata, Grottole.
Nel romanzo della Maraini la protagonista si vede scorrere addosso e a fianco la Storia d’Europa, le guerre tra Spagna e Impero asburgico e Francia, sullo sfondo e con le ricadute su una Sicilia gattopardesca ante-litteram (il signor padre in cantina aveva le bandiere di tutti i contendenti, per esporre quella del vincitore del momento), partecipa quasi sulla riva del fiume, alla vita oziosa, vuota e piatta della nobiltà e dei contadini siciliani di inizio sec. XVIII e soprattutto della sua famiglia Ucrìa, seguita da una lunga serie di altri titoli, di quasi tutte donne, in cui gli uomini comandano pigramente, perché così é naturale.
Marianna Ucrìa la protagonista, comparsa-protagonista, è sordomuta, non dalla nascita, ma perché… (bhé, lo scoprirete) eppure è la più lucida e ragionante di tutti i personaggi, solleticata anche dalle lontane suggestioni filosofiche di un certo signore inglese, Hume, giunte fino a lei in Sicilia.
Ho trovato improbabile, per l’epoca e l’asimmetrica condizione sociale la storia d’amore tra Marianna ed il giovane cantiniere, Saro, intruso in casa Ucrìa.
Curata, non banale la prosa, a differenza di quella di tanti “scrittori attuali da tastiera”.
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