Premio Campiello 2005: ex aequo  IL SOPRAVVISSUTO Antonio Scurati MANDAMI A DIRE Pino Roveredo

Il sopravvissuto e Mandami a dire

Premio Campiello 2005: ex aequo  IL SOPRAVVISSUTO, di Antonio Scurati e MANDAMI A DIRE, di Pino Roveredo

IL SOPRAVVISSUTO, di Antonio Scurati

Giugno, esame orale di una maturità liceale. I professori aspettano, infastiditi, che si presenti il candidato, in abbondante ritardo. E alla fine il ragazzo arriva, ma invece di accomodarsi al suo posto davanti alla commissione, tira fuori una pistola e spara ai docenti. Poi scappa.
il sopravvissuto Antonio Scurati
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Tutti morti tranne un sopravvissuto, Andrea Marescalchi, professore di storia e filosofia, che con quel ragazzo strano e difficile ha sempre avuto un rapporto speciale. Da qua parte la storia, che si svolge nei tre mesi successivi all’evento prima che la scuola riprenda, e che vede il professore fare i conti con l’enormità di quanto è successo. Un uomo che si trova suo malgrado a passare da miracolato (“se si è salvato l’ha voluto Dio”), da sospettato (“perché è stato risparmiato proprio lui?”), da condannato a morte (“prima o poi il ragazzo tornerà per finire il lavoro”). Ma che soprattutto deve affrontare il senso di colpa, che il comune sentire comprenderebbe, per quanto irrazionale, se riguardasse i colleghi morti, ma che lui invece vive nei confronti del ragazzo. Per non averlo capito, per non averlo aiutato, per non averlo fermato.

E qua, secondo me, il romanzo ha la sua parte migliore e contemporaneamente il suo limite. Perché se è molto interessante e ben sviluppata l’idea di quanto ognuno di noi, per quanto strutturato e con un bagaglio sostanzioso di strumenti intellettuali a sua difesa, possa essere irrazionalmente vittima del carisma di un’altra persona, tuttavia mi è sembrato davvero un po’ semplicistico e superficiale prendersela con la società, con la scuola, con la scarsa empatia del docente medio per spiegare e addirittura in parte giustificare la scelta di rompere gli argini avendo però cura di bagnarsi il meno possibile. Un’ultima cosa: Scurati ha una scrittura molto bella e raffinata. Come (e più ancora di) Nicola La Gioia non ha bisogno di dimostrarlo con “esibizioni di bravura” che rischiano solo di appesantire il racconto.

“In fondo il temporale era cessato e d’improvviso il cielo si era aperto snudando una luna piena, gialla, placida. La notte era così tornata a essere chiara, serena, mite, senza vento. Il mondo magari stava pure andando in malora, forse c’era addirittura già andato, ma a nessuno, nemmeno a due poliziotti assegnati al servizio di scorta dell’unico sopravvissuto di una strage, compiuta da un assassino ancora a piede libero, veniva in mente che si potesse tendere un agguato sotto quel cielo stellato”

Recensione di Elena gerla 

MANDAMI A DIRE, di Pino Roveredo

La scrittura di Roveredo, e più che la scrittura ciò che egli scrive, è un qualcosa che colpisce diritto allo stomaco. Ti lascia amareggiato, dispiaciuto, avvilito, impotente davanti a un’umanità speciale, speciale perché ultima, dimenticata, misera e miserabile, ultima tra gli ultimi, l’umanità dei vinti, dei dispersi, degli sconfitti, dei solitari, dei disperati, eppure sempre tutti malinconicamente e pervicacemente pervasi da aneliti di speranza, da un disperato e struggente bisogno d’amore.

Pino Roveredo, infatti, ha avuto quel che si vuole definire, quasi sottovoce, una vita difficile: per diverse ragioni, esistenziali, caratteriali, fortuite, ha condotto, suo malgrado, un’esistenza dura, precaria, alienante, spesso brutale, finendo negli abissi dell’alcolismo, degli stupefacenti, facendo diretta esperienza degli ambienti e delle comunità dei devianti, prima tra tutte le carceri e le comunità per i disturbi mentali.

Da tali abissi, da tali orrori, egli si salva con la scrittura, quasi che rendere su carta le sue dirette e amare esperienze funge da catarsi, la scrittura compie una redenzione, e da qui Roveredo riparte, facendo della propria esistenza materia per racconti struggenti di malinconia, desiderio spasmodico di affetto, di amore, di fiducia, che rappresentano in fin dei conti le carenze principali che portano una persona a discendere nei gorghi della depressione, nella solitudine, nello stato catatonico dei senza speranza alla ricerca di paradisi alternativi. Roveredo non è facile a leggersi, ed è crudo e avvilente a leggersi, ma comunica. Comunica bene, ed è paradossale come abbia potuto imparare a comunicare tanto bene con le parole: infatti, Pino Roveredo è il figlio udente di una coppia di sordomuti.

Recensione di Bruno Izzo

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