PREMIO GONCOURT 2016: NINNA NANNA Leila Slimani

PREMIO GONCOURT 2016: NINNA NANNA, di Leila Slimani (Rizzoli)

“Il bambino è morto e la bambina non ce la farà” è questo il terribile incipit di “Ninna nanna” (titolo originale Chanson Douce) della autrice franco-marocchina Leila Slimani vincitrice del premio Goncourt 2016.

Con una scelta strutturale di romanzo molto particolare, la scrittrice inizia il libro dalla fine.

Nell undicesimo arrondissement di Parigi, il corpo di un bambino galleggia in una vasca da bagno e quello di una bambina giace sul pavimento.

La donna che li ha uccisi si è accoltellata senza però morire.

Ma chi è questa donna?

Myriam e Paul, genitori impegnati con il lavoro tutto il giorno, decidono di assumere una babysitter che possa aiutarli con i figli Mila e Adam.

Dopo numerosi colloqui, la scelta cade su Louise una giovane donna bionda e minuta che conquista da subito la fiducia dei genitori e la simpatia dei bambini.

Louise è impeccabile e perfetta si occupa non solo di Mila e Adam ma gestisce la casa completamente così da diventare indispensabile per i genitori che vedono nel suo viso un “mare tranquillo” ma non intravedono gli “abissi” che lo stesso nasconde.

“Louise è una fata” diranno Myriam e Paul agli amici non immaginando ciò che riserva a loro il futuro.

È noi, che che conosciamo tutto fin dal principio, leggiamo questa storia nera e atroce con ansia e inquietudine cercando di capire quando si è spezzato l equilibrio e ciò che ha portato la tata a compiere una simile atrocità.

“Che cosa l ha spinta a fare questo” è la domanda che il lettore si pone più di una volta durante la lettura.

La spiegazione più semplice può essere la semplice follia oppure un eccesso di amore o addirittura la paura di perdere quel ruolo tanto desiderato.

Non ci sono segnali di una possibile tragedia o nessuno è in grado di coglierli, anche i flashback che riguardano il passato di Louise non ci forniscono chiavi di lettura sulla sua personalità che giustifichino la tragedia.

La tata non ha avuto una vita facile ma questo non offre una soluzione al dramma.

Myriam e Paul fanno di tutto per farla sentire a suo agio e cercano di non trattarla come una domestica eppure Louise si sente esclusa e la dipendenza che invece crea ci fa assistere ad un gioco delle parti con un continuo ribaltamento di potere tra i genitori e la tata in una spirale di odio e amore.

Una dipendenza insana che come tutte le dipendenze rovinerà i rapporti tra i protagonisti della storia.

I coniugi infatti completamente dipendenti da Louise subiscono una sorta di infatuazione e non danno peso agli strani episodi che accadono così che il loro idillio subisce un crollo fino al tragico finale.

Il libro non è un thriller, conosciamo tutto già dalle prime pagine.

Nonostante tutto siamo però attratti dalla ” banalità del male” che è la vera protagonista della storia.

Louise infatti appare assolutamente normale, ed è qui l orrore, guardare chi ci è vicino senza realmente vederlo per quelli che è.

È vero, Louise è una assassina e non ha scusanti ma è anche una disperata messa alla prova dalla vita che da vittima si trasforma in carnefice.

L autrice si è ispirata ad un fatto di cronaca realmente accaduto a New York e una delle tematiche portanti del libro è anche la difficoltà che incontrano le madri al giorno d oggi a conciliare il lavoro con i figli e la casa.

Fino a che punto una donna è disposta a rischiare, a fidarsi di una estranea pur di realizzare la propria carriera professionale.

Myriam si dibatte tra angosce e frustrazioni mentre Louise che vuole sembrare perfetta è deviata da una profonda solitudine.

Ognuna delle due donne mente agli altri ma anche a se stessa.

Altra tematica del libro è la differenza tra classi sociali che si riscontra nei protagonisti.

Myriam e Paul sono una famiglia borghese e benestante che grazie al denaro riesce a mantenere una domestica che proviene invece da un sottoproletariato che per soldi non ha quasi una vita propria ma lavora e vive una vita completamente dedicata agli altri.

Questa differenza che è centrale non porta mai ad uno scontro diretto tra i protagonisti, è piuttosto uno scontro indiretto che consiste in atteggiamenti o provocazioni da entrambe le parti.

La scrittrice non offre soluzioni, lascia il lettore libero di trovarle lui stesso analizzando ciascun dettaglio che possa far luce su quando ha avuto inizio la follia.

Ma come sappiamo, anche da fatti di cronaca che ben conosciamo, difficilmente chi commette un infanticidio fornisce un movente, molte volte non c è nemmeno, e tutto questo ci lascia stravolti dinanzi a qualcosa di incomprensibile e irrazionale.

Recensione di Gabriella Patriarchi

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