PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1034: Luigi Pirandello – “per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale”
UNO NESSUNO E CENTOMILA – IL FU MATTIA PASCAL, di Luigi Pirandello
UNO NESSUNO E CENTOMILA
Si può essere veramente soli? Pirandello, in una sorprendente pagina del suo romanzo più noto, pensa di no. Chiuso nel suo studio, dopo che la moglie ha osservato che “il suo naso pende verso destra” , motivo per il quale se ne è andato per le vie del suo mondo a sondare il terreno dei difetti altrui non riconoscendo i propri, Genge’ “è pieno” dei rumori della vita condotta “là fuori” e perciò tutto fuorché solo.
Abbiamo bisogno di una interlocuzione che ci affermi. Diversamente ” siamo barche in mezzo al mare” cit L.C e il nostro Genge’ così vuol sentirsi: un “senza nome” “un senza passato”, uno chiuso in una stanza senza che la moglie faccia lui notare chissà quale altro difetto che lui non aveva notato.
Andrà alla ricerca dello straniero che c’è in lui per capire come lo vedono gli altri sminuzzandolo in uno, nessuno o centomila. Da qui il suo dramma, cominciato una mattina quando sua moglie lo ha costretto a guardarsi dentro.
“Che relazione c’è fra me e il mio naso?” vale a dire:” Che relazione c’è fra quello che Genge’ è e come lo vedono gli altri i quali mica vedono ciò che è ma vedono il suo naso?
Tutta la prima parte del romanzo ruota intorno a questa filosofia dell’io rappresentato a un uomo, che siamo tutti noi, che, quanto più scopre di avere multiple personalità, tanto più si rende conto di “manipolare” la realtà.
“Un estraneo che possono vedere solamente gli altri e io no. Cit”
“L’uomo è un essere sociale” dicono…
e assumendo su di sé la socialità si priva della spontaneità o di quel frammento di verità che Genge’ scorge in quell’attimo in cui si vede allo specchio camminando senza pensieri.
Il dramma pirandelliano diventa in Uno nessuno centomila il dramma dell’uomo che arrivato a conoscere se stesso e dispiacendosi, vorrebbe smettere di rappresentarsi, perdendo di vista se stesso, ma è proprio nella rappresentazione “teatrale” di sé che vediamo ” l’estraneo ” o “gli estranei” che siamo
Recensione di Ivana Merlo
IL FU MATTIA PASCAL
Ci sono dei libri verso i quali, per ragioni diverse, sento un debito di gratitudine.
“Il fu Mattia Pascal” è certamente uno di quelli. L’ho letto la prima volta ai tempi della scuola e, quasi senza averne coscienza, è rimasto a farmi da sottofondo, come un muto termine di paragone, in molte delle mie letture successive.
L’impossibilità di azzerarsi e di rinascere senza un riconoscimento sociale che dia senso alla nostra esistenza, è il concetto centrale (ma non unico) della storia narrata in questo romanzo; a cui sono particolarmente legata anche perché mi ha spronata nella scrittura e nella sperimentazione di forme che, in quel momento della mia crescita, sentivo come assolutamente nuove.
Conservo ancora la copia che lessi allora, con il prezzo in copertina di 8.000 lire, che fu di mio padre prima di me. Proprio la stessa copia, quella che ha le sottolineature dei passaggi che avevo trovato più interessanti. Riflessioni generali che, in modo discreto, abitano la narrazione, senza violarne il ritmo, e che trovo ancora oggi attualissime.
Recensione di Claudia Amoresano
Premio Nobel per la Letteratura 2022 Annie Ernaux
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