PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1920: Knut Hamsun

PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1920: Knut Hamsun “per il suo monumentale lavoro. Il risveglio della Terra

 

FAME, di Knut Hamsun

Recensione 1

Libro difficile da leggere; tutto, interamente, contenuto nel titolo: fame. Il protagonista è un giovane intellettuale, colto e intelligente, nel fiore degli anni e del vigore fisico, autore di saggi di qualche successo. Lentamente ma inesorabilmente scivola in una condizione di povertà estrema, che è quella in cui il lettore lo incontra già dalla prima pagina. Vive in una soffitta malsana ed è affamato, avendo speso i pochi spiccioli ricevuti come compenso per un articolo. È convinto che presto ne riceverà altri, perché scrive ancora e scrive bene. Da qui in poi, la discesa agli inferi: la fame lo porta a succhiare trucioli di legno, ad impegnare le poche cose che possiede al banco dei pegni, a staccare i bottoni del cappotto per provare ad impegnare anche quelli, a dormire per strada, a perdere i capelli, ad un passo dalla pazzia. Il racconto, in prima persona, è un angosciante saliscendi tra disperati tentativi di raggranellare qualche spicciolo e improbabili barlumi di speranza. Non muore e non impazzisce definitivamente, ma ci si avvicina ad ogni pagina, ad ogni istante delle sue giornate scandite dall’inevitabile ossessione per il cibo.

Una storia non esiste: lo seguiamo faticosamente lungo le strade di Kristiania (Oslo), nelle quali si trascina come un randagio, sempre in direzione di qualcosa o qualcuno che potrebbe tirarlo fuori dall’inferno. Colpisce l’indifferenza degli altri esseri umani, la solitudine estrema a cui ci può ridurre l’essere fuori dal circuito della vita comune, ma soprattutto colpisce la determinazione con cui lui continua a percepire se stesso come un essere dotato di dignità, anche quando è evidente che nella percezione degli “altri” questa è cancellata dalla sua condizione. La forza disperata con cui difende la propria dignità (che è tutt’uno con l’umanità) è più forte ancora di quella con cui si aggrappa alla vita, e arriva a confondersi con orgoglio e superbia. Ma ce lo fa sentire vicino, perché la sua vicenda sembra estrema ma forse – purtroppo – non lo è.

Recensione di Alessandra Nieddu

Recensione 2

Quando Oslo si chiamava ancora Kristiania, Knut Hamsun depone una delle prime pietre del Novecento letterario. Il protagonista del suo romanzo conduce la vita da scrittore come una sfida, agli altri e a se stesso, vagando per la città senza un soldo, con alloggi di fortuna, braccato da una fame irrimediabile, che lo scarnifica, lo umilia, lo aliena in un delirio visionario che si fa disperazione, libro di Giobbe, Urlo di Munch, lanciato come un sasso verso il cielo. E la sorte ripaga gli sforzi con alterne fortune: qualche pezzo pubblicato, la parvenza d’un amore verso la controversa Ylajali, un raro gesto di pietas in un mondo volgare, incapace di comprendere l’ironia e la purezza d’un animo libero, al di sopra di qualsiasi convenzione. Così la povertà diventa quasi una condizione esistenziale indispensabile per dilatare i sensi, per raggiungere l’epicentro dei sentimenti, per trovare la luce attraverso le fessure di una cicatrice.

La sensazione che si prova all’inizio è quella di aver conosciuto questo personaggio, di averlo già incontrato da qualche parte. Forse in qualche pagina di Kafka o di Hemingway, forse in Miller o ancora più probabilmente nel Fante di “Chiedi alla polvere”. Solo che “Fame” è del 1890.

Recensione di Riccardo Del Dotto

Premio Nobel per la Letteratura 2017: Kazuo Ishiguro 

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