PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1921: Anatole France “in riconoscimento della sua brillante realizzazione letteraria, caratterizzata da nobiltà di stile, profonda comprensione umana, grazia, e vero temperamento gallico”
GLI DÈI HANNO SETE, di Anatole France
Penso che <Gli dei hanno sete> (Les Dieux ont soif) di Anatole France (ed. Einaudi) sia un classico della letteratura da riscoprire. Se è vero che “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, come disse Calvino, credo che ciò valga per questo grande, ma dimenticato, romanzo.
Strano destino quello di Anatole France (1844-1924), insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1921, ma poi quasi caduto nell’oblio.
Da notare, tra l’altro, che <Gli dei hanno sete> fu inserito nel 1950 nel <Gran Prix dei 12 migliori romanzi francesi del mezzo secolo> scelti dai più autorevoli esponenti della cultura francese.
E pure in Italia ormai di France viene pubblicato poco; solo nel 2022 proprio <Gli dei hanno sete> è stato ripubblicato dopo molti anni da Marlin editore.
Il romanzo è ambientato ai tempi della rivoluzione francese, in particolare nel 1793, “anno del terrore” per eccellenza. In una Parigi in cui scorre senza sosta il sangue delle teste mozzate dalla ghigliottina, percorsa da fremiti rivoluzionari e controrivoluzionari, Anatole France tratteggia alcune figure esemplari di quei giorni memorabili: Evariste Gamelin, artista di scarsa fortuna, fervente giacobino – i cui idoli sono Marat e Robespierre – pervaso da un manicheismo in cui non trova spazio alcuna sfumatura, convinto com’è che il bene stia solo da una parte e il male dall’altra, che, nominato giurato di quel terribile tribunale rivoluzionario, diventa giudice implacabile, dispensando condanne, anche per vendette personali, in preda al crescente furore ideologico e seguendo solo l’impulso del suo cuore, arrivando a travolgere anche gli affetti più cari per la salvezza della rivoluzione, fino a restarne vittima quando Robespierre e gli altri saranno condannati a morte insieme a tutti quelli che li hanno sostenuti.
Contrapposto allo spietato e intransigente Gamelin v’è un altro bellissimo personaggio del romanzo: Brotteaux (in cui sono rinvenibili i tratti dell’autore), ex benestante caduto in disgrazia, ateo ed epicureo, sensibile ai piaceri della vita, ma anche uomo colto, saggio e tollerante, rispettoso delle idee altrui e del prossimo; vecchio protagonista delle “dolcezze del vivere” dei tempi dell'<Ancien Regime>, che, da profondo conoscitore dell’animo umano, è scettico sulle effettive possibilità della rivoluzione di essere motore di una autentica rigenerazione dell’umanità.
Attorno a questi opposti si snoda l’avvincente trama del libro, ricco di personaggi: religiosi, artisti, aristocratici riciclati, rivoluzionari più o meno autentici, affaristi senza scrupoli, nobildonne e popolane, in un grande affresco storico della Parigi in preda ai fasti e ai furori della rivoluzione.
Opera davvero sempre attuale <Gli dei hanno sete>, prezioso monito contro il pericoloso fanatismo in cui può degenerare anche la più genuina passione ideologica, quando non è temperata dalla tolleranza e dal rispetto delle idee altrui anche quando diverse.
E perciò temi eterni, quelli trattati nel libro, distillati peraltro in una prosa limpida, e con una lingua insieme erudita e coinvolgente, utile in funzione catartica nel racconto di eventi drammatici, e a sedurre, oggi come ieri, chi ama le buone letture.
Recensione di Massimo Marino
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