PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1954: Ernest Hemingway

PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1954: Ernest Hemingway – “per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con Il vecchio e il mare e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo”

PER CHI SUONA LA CAMPANA, di Ernest Hemingway (Oscar Mondadori)

Rileggere un libro che è un capolavoro del novecento è sempre un’esperienza che ti sa dare qualcosa in più. C’è anche la difficoltà di dire qualcosa di nuovo quando si parla di un capolavoro. Il romanzo, nonostante non sia breve, racconta una storia che si svolge in poco più di tre giorni: tanto passa da quando Robert Jordan si presenta alla banda di Pablo – partigiani rossi durante la guerra di Spagna, con il compito di far saltare un ponte strategicamente importante – all’epilogo della storia. In questi giorni raccontati intensamente si ritrovano davvero moltissimi temi cruciali, la guerra, la lealtà ed il coraggio, il dubbio sulla bontà della propria missione, il relativismo dei comportamenti.

Oltre ai temi affrontati, ci sono capitoli di grande innovazione narrativa; in particolare quello in cui viene raccontata da Pilar, donna dal carattere titanico e dalla sensibilità soprannaturale, l’uccisione dei fascisti in una cittadina nei pressi di Avila, perpetrata attraverso il passaggio tra due file di rossi armati di correggiati, con la descrizione eccezionale dei modi in cui i notabili fascisti del paese affrontano il passaggio fatale, è a pieno titolo da antologia della letteratura mondiale. Non per niente, Garcia Marquez raccontava che, vedendo Hemingway a Parigi dall’altro lato della strada, lo salutasse gridandogli “maestro”. Perché se si passa dalla lettura di Cent’anni di solitudine prima di aver letto Hemingway non ci si rende conto di quanto questo straordinario scrittore abbia anticipato di molto anche il realismo magico sudamericano.

Rimane anche nella memoria la descrizione, sempre di Pilar, dell’odore della morte, che avvolge chi è inconsapevole di stare per terminare il proprio viaggio mortale, che non tutti possono sentire ma che per qualcuno è di un’intensità quasi nauseante. La storia d’amore con la guapa Maria, che ha fatto turbare schiere di giovani nel dopoguerra, forse è meno interessante per l’aspetto sentimentale di quanto non lo sia per la capacità dirompente di scrivere dicendo e non dicendo quello che all’inizio degli anni quaranta era imbarazzante da scrivere. Devo dire che questa rilettura del libro è stata veramente una bella esperienza, e se non fosse che è scontato e quasi irriverente dirlo, cadrei nel cliché di consigliarne la lettura. Come se occorresse: è un capolavoro, che bisogno c’è?

Recensione di Oscar Trezza

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