PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1954: Pär Fabian Lagerkvist – “per il suo vigore artistico e per l’indipendenza del suo pensiero con cui cercò, nelle sue opere, di trovare risposte alle eterne domande che l’umanità affronta”
IL NANO, di Par Lagerkvist (Iperborea)
Ancora una volta questo autore svedese mi cattura e mi seduce con la sua prosa fine ed essenziale , con la sua capacità di narrare in modo appassionante.
La vicenda che racconta è ambientata in un luogo non precisato nell’Italia medioevale.
Quello che stupisce è l’attualità del tema di fondo , l’eterna dualità del bene e del male .
Il narratore è un nano di cui non si conosce il nome , che tiene un diario dove annota le vicende che accadono nella corte del Principe Leone , suo ” padrone”.
Ovviamente ogni avvenimento è raccontato in modo soggettivo e non obbiettivo da questo protagonista assoluto di tutto il romanzo.
Il nano è affascinante nella sua mancanza di benevolenza e misericordia , nel suo essere cattivo , nel suo modo di odiare qualsiasi cosa sia legata alla fisicità della razza umana della quale lui si sente d’essere frutto ma non parte.
Pochi i personaggi ma ciascuno delineato e posto nel racconto in modo preciso e puntuale.
È una corte vista dal basso della statura del nano , il suo limite fisico , che lui non riconosce come handicap piuttosto come valore aggiunto e superiorità.
Osserva e giudica senza il minimo segno di misericordia i nobili che lo circondano , detesta tutti perfino gli altri nani di corte che egli stesso elimina per rimanere signore incontrastato , appendice e braccio secolare del suo Principe.
Leone è un uomo e come tutti loro è reputato dal nano ” falso” e per questo lo disprezza ma ammira il suo potere perché in fondo a quello anela.
Oggi il principe potrebbe appellare il nano con la frase ” è un mini me” , veste gli stessi abiti, perfino la stessa armatura tutto in forma ” ridotta ” , li differenzia solo la posizione , uno comanda, l’altro è a lui apparentemente sottomesso.
Tutto il libro è pervaso da un fascino perverso , il male è personificato in questo nano che non ride mai , che riesce a vedere nelle tenebre ogni cosa ma non le stelle.
Il nano risulta essere il principe guardato attraverso un cannocchiale capovolto , è l’essere oscuro latente in ciascuno di noi.
Impregnato di riflessioni filosofiche espresse attraverso metafore da fiaba nera , questo romanzo scritto nel 1944 in pieno conflitto mondiale solleva questioni ricorrenti nella storia dell’umanità.
” tutta la cultura umana non è che un tentativo verso qualcosa di irraggiungibile, qualcosa che supera di gran lunga la nostra capacità di realizzarla.”
Ecco che viene fuori l’assenza di un credo perché il nano è esso stesso un Dio, che non conosce non perdona , che punisce che odia.
” ogni giorno celebro la mia eucaristia, sommo sacerdote del mio popolo”
Ecco che il nano trae godimento dalla guerra, è indifferente ai massacri e incarna l’aberrazione cui condurrà anche il conflitto che l’autore vive , che denuncia con questa opera dall’indiscusso potere.
La questione religiosa affiora , ricorrente negli scritti di Lagerkvist cui non a caso è stato assegnato il Nobel per la letteratura.
A mio avviso è un autore che va letto e riletto perché le sue opere sono grandiose e pregne di bellezza.
Recensione di Maria Pia Chessa
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BARABBA Par Lagerkvist
“… aveva assorbito la morte laggiù? La morte!
L’aveva sempre dentro di sé, l’aveva avuta dentro di sé per quanto aveva vissuto.
Essa lo inseguiva dentro lui stesso, nei suoi cunicoli, nei suoi intimi scavi di talpa e lo empiva del suo sgomento.
Anche se ormai era tanto vecchio, anche se più non desiderava di vivere, essa lo colmava pur sempre del suo terrore.”
Poco più di 140 pagine di una scrittura essenziale , a tratti scarna che racconta la vita del ” liberato” o meglio la sua sopravvivenza.
Il celebre Barabba , il cui nome fu acclamato dalla folla in quella che fu’ la giornata cruciale per l’umanità. Gesù muore in croce e viene deposto nel sepolcro e il terzo giorno il suo corpo non c’è più, “è risorto ” sussurrano i credenti , ” è stato trafugato” asseriscono i pragmatici.
In questo piccolo romanzo però la storia celebre si mescola a quella meno conosciuta di colui cui era destinata la croce che scelse per se Gesù, è Barabba il protagonista e le vicende che lo riguardano dopo quel pomeriggio sul Golgota.
La storia di un uomo combattuto fra la voglia di credere in un Dio e il suo raziocinio. Un uomo che insegue il ricordo di colui che lo salvò , ma sul quale continua ad interrogarsi.
È un libro per atei e cristiani perché è l’uomo al centro della storia, con le sue debolezze, le sue paure e la sua ricerca.
Pochi i personaggi fra i quali spicca Leporina emaciata e sfortunata creatura che accende in Barabba la pietà, la carità la stessa che appartiene all’uomo crocefisso ma la cui valenza il brigante , ignora.
Si scopre un lato inaspettato dell’uomo che il catechismo cattolico ci ha spinti a detestare, a leggere queste pagine invece si prova una sorta di comprensione per lui , ci si scopre in parte simili a lui si crea a tratti una certa empatia e gli si perdona anche la codardia e l’egoismo sentimenti così contemporanei , anzi così universali e perpetui!
Non sempre il cattivo è detestabile e il buono adorabile , e l’autore ci conduce verso l’assoluzione per entrambi, verso l’assenza di giudizio morale .
Assolutamente originale la madre del Cristo morente , descritta in modo nuovo che tanto si scosta dall’iconografia cattolica.
Una storia conosciuta scritta e da leggere in una dimensione metafisica.
Recensione di Maria Pia Chessa
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PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1926: Grazia Deledda
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