PREMIO PULITZER 2015: TUTTA LA LUCE CHE NON VEDIAMO, di Anthony Doerr (Rizzoli)
“L’esistenza di ognuno di noi comincia con un’unica cellula, più piccola di un granello di polvere. Molto più piccola. Suddividiti. Moltiplicati. Somma e sottrai. La materia cambia padrone, gli atomi affluiscono e defluiscono, le molecole ruotano, le proteine si legano, i mitocondri emanano i loro decreti di ossidazione; in principio erano microscopici sciami elettrici. I polmoni il cervello il cuore. Quaranta settimane dopo, seimila miliardi di cellule s’incuneano nella morsa del canale del parto di nostra madre, e noi strilliamo. Dopo di che il mondo inizia a darci addosso.”
Alla fine sì, nonostante sia in parte una fiaba (e non me l’aspettavo), nonostante ci sia un po’ di ruffianeria a buon mercato (la bambina cieca con le lentiggini, il bambino con i capelli color della neve), nonostante sia lungo e in parte scontato.
Ma alla fine coinvolge e a tratti commuove la storia di Maurie-Laure e soprattutto di Werner, ragazzina francese cieca dall’età di sei anni e orfano tedesco: il loro percorso si svolge parallelo fino ad incontrarsi nel magico scenario di Saint-Malò e nel consumarsi della tragedia della Seconda guerra mondiale di cui racconta in particolare l’assedio degli alleati alla costa francese e alla cittadella occupata dalle truppe austriache e tedesche.
L’americano Doerr ha saputo costruire una lunga storia attraverso brevi frasi e brevi capitoli che attraversano l’Europa e raccontano il dolore dei giovani, la ricerca di un diamante preziosissimo e forse malefico, gli stratagemmi di un padre per rendere autonoma una figlia che non può vedere, le paure di uno zio che non esce dalla sua stanza. Ma soprattutto, il libro è una celebrazione della vita, dei suoi infiniti colori, odori, sapori, consistenze, segni e tracce invisibili, come le onde radio che diffondono musica e parole, gettando ponti tra mondi lontani.
Ammiratore di Italo Calvino, Doerr ha appreso la lezione della vertigine degli elenchi che cercano di raccontare i labirinti: “Botanica sa di colla, carta assorbente e fiori pressati. Paleontologia sa di polvere di roccia e polvere d’ossa. Biologia sa di formalina e frutta troppo matura; è piena di pesanti vasi freschi al tatto in cui galleggiano cose che a lei hanno solo descritto: serpenti a sonagli arrotolati in pallide funi, mani mozzate di gorilla. Entomologia sa di olio e antitarme: un conservante, le ha spiegato il dottor Geffard, che si chiama naftalina. Gli uffici sanno di carta carbone, o fumo di sigaro, o brandy, o acqua di colonia.”
Recensione di Marcella Mantovani
PREMIO PULITZER 2018: LESS Sean Greer
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