PREMIO SCERBANENCO 2003: ROMANZO CRIMINALE, di Giancarlo Di Cataldo (Einaudi)
E’ un vivacissimo affresco su cui De Cataldo, al posto dei pennelli, ha utilizzato sia il linguaggio della mala, che il linguaggio della Procura, dipingendo in modo mirabile i nostri anni di piombo, ripercorsi e restituiti vividamente fra le righe del suo testo.
I personaggi sono pervasi di vita, di violenza, di morte, in dosi magistralmente equilibrate.
Lo sfondo è la Città eterna, perla di un Paese che “sarà anche ricco …. Ma è marcio dentro”. Un Paese che sarà europeo quando “si libererà della perversa connessione fra politica, malavita, imprenditori marci, servizi segreti deviati…”
Il protagonista – forse – è il potere, che “non riposa sulla canna del fucile, ma sulle informazioni”. E chi gioca a “disordinare il mondo prepara un caos sempre più nuovo…. perché l’uomo d’ordine è il più efferato degli anarchici”.
E comunque, “arriva sempre il momento in cui i magistrato, anche il migliore, si ricorda di essere il signor giudice”.
Così, in un inferno dantesco di personaggi potenti e pericolosissimi, si finisce con perseguire poveri “bottegari, rei di fare la cresta sulle tasse”.
Guardavo la copertina con senso di sufficienza, incapace di credere che questa lettura potesse interessarmi, finché non ho ceduto alla curiosità, o forse alla noia di queste giornate di reclusione forzata, e le prime pagine mi hanno ricompensato subito con una sferzata di piacere inaspettato, sempre crescente, fino all’ammirazione per uno scrittore che non conoscevo.
Sento già la mancanza di Dandi, del Freddo, del Bufalo, del Libanese, di Trentadenari, e di tutta la pletora di umanità raffigurata da De Cataldo.
Recensione di Monica Vannucci
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