PREMIO STREGA 2017: LE OTTO MONTAGNE, di Paolo Cognetti (Einaudi)
Questo libro era in casa da alcuni anni, regalato a mio marito da alcuni amici, ma non mi ero mai decisa a leggerlo nonostante i vari pareri positivi letti qua e là. Non so bene il motivo di questa resistenza, condizionata forse dal fatto che spesso con questi amici non ci troviamo d’accordo sulle cose da leggere e sui pareri che diamo alle cose lette.
Comunque qualche giorno fa l’ho cercato nella libreria di casa e mi sono messa a leggerlo scoprendo che, nonostante tutti i pregiudizi che avevo avuto, il libro mi piaceva molto, così tanto che l’ho letto in un fiato, grazie anche ad una scrittura essenziale ed agevole.
Pietro, o Berio -sasso- come lo chiama l’amico Bruno, è la voce narrante che ci parla raccontando la sua vita, dall’infanzia alla maturità, e le relazioni ed i sentimenti che l’hanno caratterizzata e condizionata. E così ne viene fuori una storia di rapporti familiari – specialmente con il padre ma anche con la madre- e di amicizia e di scelte di vita ma anche emerge, in maniera molto forte, l’importanza di un rapporto con la montagna che sia altro rispetto a quello che di solito viviamo come turisti mordi e fuggi.
Mi sono molto piaciute alcune riflessioni che, partendo dalla descrizione, fatta magistralmente da Cognetti, di una montagna poco frequentata e rimasta pressoché intatta, vengono fuori dai dialoghi fra Pietro e suo padre, un uomo che “ aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi.”
Riflessioni sulla vita dei montanari :“Io osservavo le case diroccate e mi sforzavo di immaginarne gli abitanti. Non riuscivo a capire come mai qualcuno avesse scelto una vita tanto dura. Quando lo chiesi a mio padre lui mi rispose nel suo modo enigmatico: sembrava sempre che non potesse darmi la soluzione ma appena qualche indizio, e che alla verità io dovessi per forza arrivarci da solo. Disse: ? Non l’hanno mica scelto. Se uno va a stare in alto, è perché in basso non lo lasciano in pace. – E chi c’è, in basso? Padroni. Eserciti. Preti. Capi reparto. Dipende.”
E riflessioni sul senso del tempo e della vita: “ -Guarda quel torrente, lo vedi? – disse. -Facciamo finta che l’acqua sia il tempo che scorre. Se qui dove siamo noi è il presente, da quale parte pensi sia il futuro? Ci pensai. Questa sembrava facile. Diedi la risposta più ovvia: -Il futuro è dove va l’acqua, giù per di là. -Sbagliato, -decretò mio padre. – Per fortuna-. Cominciai a capire un fatto, e cioè che tutte le cose, per un pesce di fiume, vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. Per questo guarda verso l’alto, in attesa di ciò che deve arrivare. Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.”
E poi c’è la madre, per niente solitaria come il marito, una donna calma, dal carattere solare, che fa amicizia con tutti, sia in città che in montagna, sa farsi ben volere col suo altruismo e i suoi modi, figura che sarà importante per la scelta di andare a trascorrere l’estate in una baita sopra il paese di Grana e che poi ricomparirà saltuariamente nella vita di Pietro a ricucire rapporti e sentimenti con mille attenzioni e molta pazienza.
E Bruno, l’amico montanaro, l’uomo selvatico, che proprio non riesce a staccarsi dalla montagna e vive lì e non è interessato a conoscere la vita di città perché proprio “non sa che farsene” e non si allontana da Grana e dal monte Grenon tanto è attaccato a quel posto e non ha curiosità di vedere altro; Pietro invece viaggia, si sposta da Milano a Torino, dai monti valdostani all’Himalaya, visitando le otto montagne del titolo del libro. Ma anche lui torna sempre alla sua montagna.
Li unisce una profonda amicizia, consolidata negli anni dall’amore per la montagna più selvaggia e meno frequentata, il saltare nel greto di un torrente, il salire sulle cime, dove più in alto non si può andare: “E’ sulle cime che andiamo. Scendiamo solo quando arriviamo dove non si può più salire.” Ed ancora “ ogni valle possedeva due versanti dal carattere opposto: un adret ben esposto al sole, dove c’erano i paesi e i campi, e un envers umido e ombroso, lasciato al bosco e agli animali selvatici. Ma dei due era l’inverso quello che preferivamo”.
Così i due amici incarnano la filosofia di vita ben descritta nel mandala di origine asiatica, che dà il titolo al romanzo e che rappresenta il mondo con un monte altissimo, il Sumeru, al centro e intorno otto montagne meno imponenti e circondate da otto mari, lasciando a noi la risposta alla domanda se il mondo lo si capisce meglio salendo sulla cima più alta o facendo il giro delle altre otto montagne.
In conclusione un libro che commuove e fa riflettere. Insomma assolutamente da leggere.
Recensione di Ale Fortebraccio
LE OTTO MONTAGNE Paolo Cognetti
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