PREMIO VIAREGGIO 1948:
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Narrativa (ex aequo):
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I FRATELLI CUCCOLI, di Aldo Palazzeschi
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MENZOGNA E SORTILEGIO, di Elsa Morante
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MENZOGNA E SORTILEGIO, di Elsa Morante
Per una lettrice come me, cresciuta a pane e romanzi intrisi di quei buoni sentimenti un po’ melensi, di quelli che ti si appiccicano sulla pelle e che fatichi a scrollarti di dosso pur nella consapevolezza che la realtà è ben altra, è stata come una ventata d’aria fresca leggere questo bel classico il cui descrittivismo senza svenevolezze e leziosaggini fa il paio ad una armonia di linguaggio affascinante.
Io si, sono stata vittima di un sortilegio: quello di farmi catturare da una scrittura chimerica, suggestiva e fantastica, vergata da una delle migliori scrittrici del secolo scorso: Elsa Morante.
Ambientato a Palermo, Elisa racconta le intricate vicissitudini della sua famiglia e qui troviamo tutta la grandezza di questa Voce della letteratura, inserita nella corrente letteraria del Neorealismo, ma che in “Menzogna e Sortilegio” penetra invece nel regno della ma’lia, ancorata ad una robustezza narrativa di superbo livello. Non saprei trovare un altro sostantivo per definire lo spessore del romanzo che mi appresto a lasciare a malincuore, consapevole che negli scrittori contemporanei (ma forse non ho ancora avuto la fortuna di leggerne uno/a al pari suo) mai più troverò pagine così stupefacenti, capaci di avvolgermi nelle sue spire.
Basti riassumere l’incipit:
Elisa, orfana dei genitori, viene accolta in casa della madre adottiva. La solitudine nella quale vive, dentro una piccola, disadorna e squallida camera, le accende una vivida fantasia consolatrice, che le fa vestire dei panni di Santi, Sultani e Gran Capitani tutte le persone che ha amato. Disarmante è l’angoscia che riempie l’animo di questa ragazza e disarmanti sono le parole che la Morante usa per raggiungere lo scopo di far immedesimare il lettore nelle segrete stanze dell’anima della fanciulla; ci introduce in quella zona d’ombra dell’animo umano che sconfina con la follia, senza che però ella vi precipiti, ma della quale si serve per creare il suo intimo Paradiso.
Elisa ode voci: sono quelle della sua genealogia ed esse “acquistano nel suo cervello uno straordinario risalto.”(Cit.) “I nervi sono malati, ma di giorno non avverte stanchezza. Al contrario, si direbbe che l’insonnia, quale un misterioso accordatore notturno, tenda i suoi nervi per farli meglio vibrare.” (Cit)
I dialoghi sono pressoché assenti, ma i personaggi sono talmente e finemente caratterizzati, da far passare in secondo piano quella che alcuna Critica denuncia come elemento negativo.
Teodoro è il prototipo del narcisista: corteggiatore indefesso della nonna di Elisa, viene descritto nel suo modo di essere, proprio come uno di quegli uomini che almeno una volta nella vita, ogni donna ha avuto la disgrazia di incontrare. Se la racconta nonna, trasversale alle epoche, se la racconta…: una delle tante menzogne che serve a renderle la vita immaginifica e degna di essere vissuta.
Cinquantenne, Teodoro, con una onorata carriera da seduttore incallito, la Morante ne fa un ritratto grottesco, (Pag. 46 Edizione Einaudi, bellissima pagina) spietato e portato alle estreme conseguenze.
Si sposarono, non certo per amore, ma solo per rientrare in una cornice di costumanza: il matrimonio finirà consumato nell’odio reciproco.
Concentrata nella lettura di queste pagine mi sono chiesta:” Ma è mai possibile che in un solo essere umano possa concentrarsi tanta viltà e spregevolezza? E altrettanta accettazione di una sorte segnata?
Edoardo, il cugino di cui Anna si innamora in gioventù, è un altro concentrato di vanità, insolenza, cattiveria e arroganza: pensa che il mondo sia stato creato per soddisfare i propri piaceri e le farà passare ogni sorta di tribolazione al limite della tortura psicologica. Come non farci lambire il pensiero dalle tante odierne vittime di uomini carnefici? In questo la Morante, raccontando e fantasticando del suo tempo, sembra farsi anticipatrice di un presente altrettanto crudele, quasi a volerci suggerire che gli esseri umani non sono fatti per la vita di coppia e che molto spesso la subiscono.
Menzogne, menzogne e sortilegi: c’è chi, pur di non passare per poveraccio, si inventa un passato e presente glorioso, c’è chi accetta legami che lo faranno soffrire per tutta la vita pur di elevarsi socialmente, c’è il presuntuoso senza arte né parte: il tutto raccontato con minuzia di particolari che ti viene voglia di prendere a schiaffi i soggetti…eppure siamo noi, con le nostre piccole e grandi ipocrisie; menzogne che edulcoriamo per farne, appunto sortilegio.
Elsa Morante indaga la psiche dei suoi personaggi con una potente lente di ingrandimento e in questo romanzo ho trovato molte similitudini con lo stile di alcuni romanzieri russi, superbi indagatori dell’animo umano. Ho ritrovato un poco de “l’Idiota”, ma anche di “Delitto e Castigo.”
Il contesto storico lo si evince da alcuni elementi quali il grammofono o le carrozze senza essere esplicitamente citato, gli ambienti socio culturali sono chiusi e generatori di mentalità ristrette e bigotte. Un quadro fosco insomma, ma talmente limpido da creare empatia con ognuno di loro.
Anna è una donna miope in amore, ingenua e priva di autostima, ma ha la capacità, come personaggio, di stuzzicare noi donne, alle volte alle prese con siffatti soggetti. (Gli atti e le parole, ella mai li attribuiva a malizia, anzi, nemmeno li giudicava, accettandoli come i fedeli accettano i decreti celesti). Cit. (Il fuoco e lo splendore di cui rivestiamo la persona amata a noi paiono una sua virtù, non già un nostro inganno. Nè sappiamo concepire questa persona se non piena di splendore e di fuoco e, sempre, come Narciso, beata di se stessa quanto noi lo siamo di lei.)
Non è che le donne ne escano bene, sia chiaro. Tutt’altro! Non mancano cortigiane, venali, traditrici, reiette.
Morante con questo romanzo getta nel mare aperto dei sentimenti una bottiglia con un messaggio d’amore per i suoi simili, senza delicatezza alcuna, ma mettendoli di fronte alla realtà, e pur con uno stile suggestivo e venato di onirico ci incalza. Paiono parole esasperate le sue, e lo sono, ma se avessimo il coraggio di leggerci dentro, incontrando complici le sue parole, ognuna di noi potrebbe trovare frammenti o parti intere del nostro essere asservito all’idea che abbiamo dell’amore, non tanto del soggetto che lo incarna.
Anna è tutte noi inguaribili romantiche che sarebbero disposte a marchiarsi a fuoco, mendicando amore pur di credere di esistere.
E’ un romanzo che parla a quel femminile che non è o che non è stato capace di rendersi autonomo dalla figura maschile o da una certa figura maschile capace di illuderti con le parole senza che ad esse corrispondano dei fatti.
Mi scuso per essere stata così prolissa, ma mi è piaciuto talmente tanto da non essere riuscita a fermarmi.
Un’ultima frase che per me riassume l’intero “Menzogna e Sortilegio”:
Così l’amore fra Edoardo e Anna, protetto da Cesira e volontariamente ignorato da Concetta, poteva fiorire senza nessun ostacolo? Amore? Qual sorta di amore è mai questo? Mi piacerebbe in verità, di poter offrire ai miei lettori una grande e drammatica tresca, un intrigo maledetto e turbinoso. Ma questo amore qui, fatto di chiacchere, di trastulli, e di dispetti, e somigliante, piuttosto che ad una esperienza adulta, ai giochi infantili, che sorta d’amore è mai? Certo i lettori si sentirebbero truffati, a vedersi offrire queste insulsaggini, se io non li avvertissi che su una tal base, futile in apparenza, sorge e s’innalza il tenebroso castello della mia protagonista. Cos’ un sottile e rauco ruscello si trasmuta in un torrente; così talvolta ad uno scherzoso, trasparente Allegro, segue un Andante severo e arcano
Recensione di Ivana Merlo
PREMIO VIAREGGIO 1931: TETTI ROSSI Corrado Tumiati
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