PREMIO VIAREGGIO 1957 (ex aequo):
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IL BARONE RAMPANTE, di Italo calvino
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L’UOMO D’ORO, di Arturo Tofanelli
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VALENTINO, di Natalia Ginzburg
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IL BARONE RAMPANTE di Italo Calvino
Recensione oltre le righe.
Caro Cosimo,
ti scrivo perché mi sei mancato e mi mancherai.
Non indico il tempo presente perché la fantasia è più comoda se traslata nel passato o nel futuro.
E l’amore si concepisce meglio se non c’è più o non c’è ancora.
Mi sei mancato da quella volta che ci siamo incontrati fra le pagine del libro di antologia della scuola elementare, mentre tu eri a tavola con la tua famiglia e protestavi per le lumache cucinate da tua sorella Battista e io imparavo a leggere.
Poi, un sussulto al cuore quando le ante metalliche della piccola biblioteca della scuola, aprendosi, mi regalarono la tua storia.
Letta e custodita gelosamente nella memoria, prima e dopo la restituzione di quel volume.
Mi innamorai subito di te. Come si fa con i veri amori impossibili.
Ho custodito i tuoi ricordi, lucidi e dolci, per decenni. Con la paura di dimenticare qualche passaggio fondamentale e non avere delle pagine di supporto alla memoria da consultare.
Ma mai avevo desiderato riprenderti con me. Mi bastava il tuo ricordo. O temevo una delusione.
Fino a quando decisi, qualche anno fa, che dovevamo rincontrarci.
Sapevo che dovevamo, ma non ero pronta fino in fondo. La vita a volte è difficile ma più difficile ancora è ribellarsi a ciò che non ci piace o non ci rende felici. Lasciare la mia comfort zone e salire sugli alberi con te.
Quindi ti ho lasciato ad attendermi, come si fa con gli amori veri e maledetti. Quelli che sai che comunque non scappano e che non passa il loro momento, semplicemente perché è sempre e per sempre.
Fino al giorno in cui mi hai letteralmente dato un colpo in testa, cadendo giù da uno scaffale polveroso.
E mi hai fatto piangere, non per il dolore, ma per le emozioni che ricordavo identiche a quelle provate da bambina, ma con qualche consapevolezza in più: gli amori difficili, i perdoni impossibili, gli incontri con la morte, lo scorrere del tempo.
La Rivoluzione pensata. Ma “peccato che qui non siamo in Francia”.
Mi hai insegnato molto più di quello che sono riuscita ad imparare da te. La vita giù dagli elci si presta a compromessi, ad attese, ad indecisioni, a sogni interrotti, a sogni distratti.
Non saprei descrivere le tue imperfezioni, semplicemente perché sei quello che ho sempre voluto essere: un animo ribelle.
E ci ho provato Cosimo, te lo giuro.
Tutte le volte che lo studio e il sapere mi hanno salvata.
Quando ho riso in faccia alla spocchia, al classismo, a chi dice che esistono professioni d’élite.
Tutte le volte che le mie montagne erano i miei alberi.
Quando ho cercato di trasformare la rabbia in castelli di nuvole.
E sì, anche tutte le volte che ho cercato di costruire un giaciglio o un rifugio dove nascondere le mie fragilità, in mezzo alle fronde. Come i ribelli veri.
Mi mancherai Cosimo Piovasco di Rondò, perché io da sola sugli alberi non so stare in equilibrio.
Perché mi lascio incantare dalla comodità della terra, dai blandi rischi a cui vai incontro se cadi da pochi cm di altezza.
Il giorno che mi sei saltato in testa dallo scaffale avrei potuto posarti, ma sapevo che era il momento di rivederci.
Per dirci che quando alzi un muro devi pensare a ciò che lasci fuori ma soprattutto a ciò che vuoi tenere dentro.
Per dirti finalmente grazie perché so che se un giorno deciderò di alzare i piedi e la testa dalla polvere per cercare di inseguire un sogno più in alto, fra gli alberi, sarà per buona parte merito tuo.
Per dirti grazie perché anche quando non lo sappiamo, quando non ce lo aspettiamo, quando non ce ne accorgiamo, i libri ci prendono per mano e ci salvano la vita.
Di Giusy Geraci
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