PREMIO VIAREGGIO 1964: IL MALE OSCURO, di Giuseppe Berto (Neri Pozza)
Non nobis Domine, non nobis Domine, sed nomine tuo da gloriam;
…“Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome dai gloria”.
È questo il canto di lode dei templari rivolto al Padre che accompagna gli uomini nella loro lunga ed estenuante lotta con il nemico, parole che in questa opera narrativa diventano i versi che guidano un uomo tormentato dal suo dolore e che combatte la sua battaglia con i pensieri oscuri della sua mente, cercando la gloria a quella lotta; conflitto esistenziale che avverte contro chi lo ha generato e messo al mondo.
È questa la confessione di un uomo martoriato da un male indefinito, generato nei pensieri ed accusato dal corpo; percezione di un paura che infonde debolezza e che causa impotenza.
Fardello di una vita che scorre con la sua foto sbiadita; ricordi di un infanzia tormentata, regole patriarcali che solcano ogni coscienza e che scivolano nel buio di una notte che volgerà al termine, ma che si trascinerà dietro le nevrosi dei giorni che verranno.
Assillato dai ricordi di un padre ormai defunto, dai fantasma del passato, dal rigore che l’uniforme dei Carabinieri Reali sa incutere nell’animo di un fanciullo, coscienza che si nutre di ricordi, ma che soffre la fame degli affetti familiari.
Sono proprio questi, i ricordi che generano rimorsi, paure, ansie e frustrazioni che non lasciano scampo alla razionalità di una mente debole che presto è invasa dalle nevrosi di una esistenza senza gloria.
Storia di un conflitto generazionale che vede i padri contro i figli, uomini alla ricerca di un riscatto sociale, esseri sconfitti da un malessere che affligge la società e che trova rimedio nelle nuove teorie di una scienza ancora incerta.
È l’era della psicanalisi, è l’era delle menti deboli che si affidano alla cura di una scienza che affonda le radici in un mondo che sembra essere oscuro e incerto, dove il conscio e l’inconscio si trovano in guerra tra loro, ma che trovano la chiave di accesso ad una memoria che fa affidamento alle rivelazioni intangibili che solo i sogni sanno rivelare.
Sono le forze che regolano la personalità dell’essere, energie che governano la mente in ogni singolo istante dell’esistenza di ogni uomo, forze che Sigmund Freud chiama l’Io, l’Es e il Super-io.
Energie che prendono il sopravvento negli uomini secondo le regole dell’inconscio e del conscio, memorie nascoste negli anfratti di una coscienza che vuole dimenticare, ma che ricorda inconsciamente provocando instabilità e malessere; sofferenza che l’autore osa definire come Il Male Oscuro.
Una descrizione del dolore e un ossessione per la morte che l’uomo deve sopportare e convivere con esso, ma che deve combattere per mostrare quanto esso vale, distruggere e vincere per raggiungere lo stato di gloria. Una esperienza personale che nessun’altro autore ha mai fatto prima, spingendosi così affondo senza preconcetti e senza divieti, nell’analisi di un uomo che mette a nudo la sua condizione, le sue nevrosi.
E’ il male di vivere, dolore che annulla ogni cosa e che annienta anima e corpo; è il rapporto con la morte e la paura di morire, è il senso di colpa che affiora continuamente. Elementi che si rincorrono costantemente, ma che affiorano dolorosamente solo se l’anima si lascia attraversare.
Rivelazioni che fanno male, perché il racconto è dolore, ma lo è allo stesso modo il silenzio che trattiene le parole.
Un flusso continuo, un fiume in piena, una prosa dai lunghi periodi interminabili, angoscia che assilla l’autore e che coinvolge il lettore.
Percezione di un corpo che si libera del male che si porta dentro, ma che avverte allo stesso tempo la paura di ciò che possa finire prima del previsto, ed ha assoluta esigenza di espellere ogni sensazione oscura.
Una presa di coscienza che pian piano volge al termine su un lettino da psicanalisi e vede riconciliare il figlio al padre; ridimensionamento di un Super-io che lascia spazio alle rivelazioni tra l’Io e l’Es che vede riconquistare la propria coscienza ed accettare la via poetica di ogni cosa, liberandosi di ogni interiorità e prendendo coscienza del mondo esterno che lo attornia.
Si accettano le proprie colpe, percorrendo quella strada che pian piano porterà all’uscita dal tunnel, li dove la luce illuminerà ogni cosa e la mente raggiungerà la sua pace.
Ma la figura di un padre, vista come l’immagine del Padre Eterno, dal quale tutte le punizioni arrivano in seguito ai propri peccati, fa affiorare i rimorsi di una vita che non segue i canoni stabiliti dalla legge Divina, ma che pur timorato dalle sua parola, ogni anima si affida al volere del Padre suo.
E come il santo Simeone del Vangelo di Luca, sia affida al Padre, solo dopo aver visto il Cristo, così quest’uomo, alla fine dei suoi giorni si riconduce al padre nella sua redenzione.
Nunc dimettis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum in pace: Quia vederunt oculi mei salutare tuum.
…”Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”…
Buona lettura.
Recensione di Giuseppe Carucci
PREMIO VIAREGGIO 1982 – SE NON ORA QUANDO Primo Levi
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