PREMIO VIAREGGIO 1965: IL PADRONE, di Goffredo Parise
Profetico ed anticipatore di una critica che vedrà nel 68 uno dei suoi punti più alti verso l’autoritarismo e la gerarchia sociale.
Racconta l’alienazione imposta dall’industria di massa spinta fino all’annullamento del singolo lavoratore. Ci racconta del meccanismo della subordinazione che cancella qualsiasi capacità di autodeterminazione dell’individuo che “appartiene” alla ditta, al padrone, ad un meccanismo spersonificante sia sul piano dei diritti politico-sociali che su quello delle libertà individuali e perfino affettive.
Il padrone una volta generoso e mellifluo, una volta crudele e violento cerca, ed ottiene nel romanzo, la totale subordinazione come principio al funzionamento della società moderna e sempre con la motivazione di cercare il bene del sottoposto ritenuto incapace di autodeterminarsi e muoversi su sentieri di libertà.
Il 68 e le lotte operaie portarono a casa lo Statuto dei Lavoratori e la contrattazione nazionale introducendo forti correttivi al potere padronale, riportandolo nell’alveo delle relazioni sindacali. Un modello che ha funzionato a lungo e ha portato alla riduzione del gap tra lavoratori e datori di lavoro salvo franare e riaprire vecchie subalternità con l’arrivo delle flessibilità, della licenziabilità e del precariato.
Seppur grottesca, e fortemente datata, la storia de Il Padrone può servire per sapere che ciò che la globalizzazione e la finanziarizzazione dell’economia ha imposto ai livelli della produzione può essere, con passato impegno e lotte, trasformato per ottenere condizioni di lavoro e di vita migliori e recuperare quella dignità del lavoro
Recensione di Gianni Gianassi 09/03/2018
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