PREMIO VIAREGGIO 2010: RIPORTANDO TUTTO A CASA, di Nicola Lagioia (Einaudi)
Bari. Il cuore degli anni Ottanta (dal 1984 al 1988). La storia di tre ragazzi che percorrono l’adolescenza in quest’epoca di mezzo, perdendo l’innocenza (tutti) e la strada (uno di loro).
Anni, quelli, ricordati, rimasticati, raccontati, dimenticati e poi ancora riesumati. Si può dire che siano anni consumati, questi benedetti anni Ottanta. Si può (e si deve) dire che, spesso, siano stati raccontati con nostalgia da chi era ragazzo o adolescente, in quel periodo. Il risultato di queste nostalgie di cinquantenni è la fotografia di un’epoca florida, divertente, spensierata, libera. Non era così, o, perlomeno, non era solo questa leggerezza a caratterizzare quel variopinto decennio.
Nicola Lagioia parla di quel decennio, attraverso le vicende incrociate dei protagonisti del suo romanzo, non cadendo nelle trappole che spesso tende la nostalgia, non rivestendo quelle atmosfere di una patina zuccherina, come spesso è stato fatto da altri, ma, anzi, in maniera impietosa raccontando la vacuità, la noia, l’illusione e la disillusione, l’ingannevole senso di eternità e possibilità che si respirava nell’aria tossica di quel periodo. Racconta anche (soprattutto, verrebbe da dire) la droga pesante e le derive generazionali che ne conseguirono.
Non solo “Drive in” (prodotto televisivo emblematico di quel periodo), non solo le vetrine variopinte di “Fiorucci”, non solo le mode giovanili che creavano appartenenze estemporanee, non solo gli agognati fast food (appena arrivati e da tanto attesi, in Italia), non solamente i bowling (altra novità) e nemmeno le TV private con le loro réclame che arrivavano ovunque, non solo questo turbine apparentemente infinito di lustrini e pallettes, non solo colore. C’era anche un mondo in bianco e nero che resisteva e si gonfiava sotto questo tendone delle meraviglie. Contrassegno opaco e disperato di quel periodo fu, infatti, anche l’eroina che riempiva le vene e le menti di una generazione perduta. Una generazione di mezzo, stretta fra il piombo degli anni Settanta e il disincanto che la seguì, nei decenni a venire.
Nicola Lagioia racconta, oltre al periodo storico, anche la storia di tre ragazzi, per la verità tre rampolli di buona famiglia, adolescenti in una Bari inedita, a tratti opulenta.
I tre protagonisti perderanno la loro innocenza attraverso pirotecniche storie individuali, amori, pulsioni sessuali della prima ora, vicende scolastiche e drammi familiari. Perderanno l’innocenza durante la loro adolescenza (come quasi tutti).
L’adolescenza: questo tempo doloroso che mette le impalcature a quella che sarà la personalità e il percorso di tutti quelli che gli sopravvivono.
C’è molto dolore in queste pagine, ma anche molta memoria. La memoria che rinfocola le emozioni, che lascia tracce indelebili che si seguono per l’intera esistenza, la memoria che serve per raccontare a se stessi, ogni giorno, il senso del presente. La memoria senza la quale, in fondo, non si è mai esistiti. Si è quello che si è stati: la somma algebrica e impietosa di ogni esperienza, di ogni dolore, di ogni paura e di ogni spicciolo di felicità inconsapevolmente speso. Le fondamenta di ciò che si è da adulti sono gettate in quegli anni pregni, dove non c’è ancora un passato a zavorrare e condizionare, dove non si vede alcun futuro. Anni fugaci, intensi e densi. Anni di assoluto presente e dolore.
Anni (nel bene e nel male) indimenticabili.
Nicola Lagioia scrive bene, in maniera raffinata, con stile pulito e al tempo stesso virtuoso. Inoltre, questo autore, sembra raccontare ciò che conosce. Parla di quello che sa. In un’epoca di grandi mistificazioni come quella che stiamo vivendo, questa sincerità nel racconto è un bene raro e prezioso.
Fra i giovani contemporanei, Nicola Lagioia, è lo scrittore più promettente. Fra i libri editi negli ultimi vent’anni, questo, è sicuramente uno dei più belli.
Va detto, infine, che per chi è nato negli anni Sessanta, questa lettura è davvero una bella esperienza. Un’esperienza gustosa.
Ciò che non si è compiuto diventa letterario. La generazione di chi oggi ha fra i cinquanta e i sessant’anni è dolorosamente incompiuta. Questa monumentale massa di ragazzotti dai capelli bianchi, sembra lasciare dietro di sé una scia scritta con l’inchiostro simpatico, che si cancella subito. Questa sfortunata generazione sembra non lasciare traccia di sé. Proprio perché a questa gente è rimasto il “colpo in canna”, diventa protagonista di primo piano di ogni lirica del nostro tempo minimo.
Bel romanzo. Bello, davvero.
P.S. Ho cinquantaquattro anni: ormai non mi compio più! Però sono lirico!!!
Recensione di Mauri Maurone Caratori Tontini
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