PRIMA CHE IL GALLO CANTI Cesare Pavese

PRIMA CHE IL GALLO CANTI, di Cesare Pavese

Questo romanzo breve venne pubblicato per Einaudi nel 1948, in un volume che comprendeva anche La casa in collina (vero romanzo-chiave per comprendere molti aspetti della personalità di Pavese e che mi accingo a rileggere da oggi, con una certa emozione), intitolato Prima che il gallo canti (titolo più che significativo).

Pavese venne arrestato dalla polizia fascista il 15 maggio del 1935, durante una retata in cui furono coinvolti a Torino molti antifascisti, per lo più aderenti a Giustizia e Libertà, tra cui Carlo Levi. Il tutto in seguito ad una spiata di uno scrittore di origine ebraica il cui pseudonimo era Pittigrilli. Dopo un periodo trascorso alle carceri Nuove a Torino, Cesare venne trasferito a Regina Coeli a Roma e condannato a tre anni di confino da trascorrere in un paese vicino a Reggio Calabria, Brancaleone Calabro, sul mar Jonio. Vi resterà dai 5 agosto al 19 marzo del 1936, quando verrà accolta la sua domanda di grazia “per motivi di salute”: Pavese ha sempre sofferto di una forma di asma abbastanza seria.

Poco dopo essere tornato a Torino Pavese scrisse un breve racconto ambientato in un paese che ricorda Brancaleone intitolato Terra d’esilio che poi ritroveremo ne I racconti, pubblicati postumi da Einaudi nel 1955 e poi, più tardi, iniziò la stesura di un romanzo breve che subito intitolò Memorie di due stagioni. Là stesura durò dal novembre del 1938 al novembre dell’anno successivo, poi il romanzo, al solito, rimase in un cassetto, fino alla decisione – dieci anni dopo – di pubblicarlo, mutando il titolo originale ne Il carcere.

Il personaggio principale è Stefano un confinato politico (anche se di politica nel romanzo non si parla praticamente mai) che giunge in questo paese senza nome ma in una regione del Sud, sul mare e scopre una realtà profondamente diversa da quella del Piemonte, da cui proviene. Manca nel romanzo quell’analisi tormentata e approfondita, anche dal punto di vista antropologico, che troviamo invece in Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi. Qui piuttosto c’è una analisi dei vari personaggi e dei loro modus vivendi profondamente diverso da quello di Stefano. Ma ll tutto si limita ad alcune considerazioni tra sé e sé. Quello che turba profondamente Stefano – è per chi conosce Pavese non è certo sorprendente, è la sua assoluta incapacità di stabilire un rapporto sereno con le donne. Va a letto con Elena per cui prova al massimo, ma non sempre, un po” di tenerezza ma il suo sogno erotico – e tale resterà ‘ è Concia, misteriosa e selvaggia, “simile a una capra”, che si aggira a piedi nudi per il paese. Anche in questo caso il nodo Pavese-donne non si scioglierà. Quando arriverà il condono Stefano lascerà il paese, dopo un rapido saluto, senza un commento. .

Arrivati all’ultima pagina del romanzo si resta con l’impressione che il breve periodo trascorso a Brancaleone Calabro abbia segnato profondamente l’animo di Pavese lasciandogli dentro molti interrogativi non risolti e a cui non sembra in grado di risolvere e lo comprendiamo dai numerosi e sofferti riferimenti che troviamo nel Mestiere di vivere

Recensione di Adalberto Ricci

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