Quando leggere diventa un’impresa titanica: IL TAMBURO DI LATTA. di Günter Grass
Cari amici e non, lettori e lettrici
sono riuscita a finire “Il Tamburo di latta”!
Premesso ciò desidero consigliarvi sinceramente e per esperienza personale che se non siete capaci di “stamburare”, anche dando forza alla vostra volontà interpretativa, di non prendere in considerazione neppure l’ipotesi, invogliati da un eccesso di cerebralismo e da un’insana voglia di conoscenza, la lettura de “Il tamburo di latta” di Günter Grass, Premio Nobel per la letteratura 1999.
Il mio approccio con l’epocale romanzo è avvenuto, appunto, da un presuntuoso desiderio di grandezza intellettuale – poveri neuroni miei – sopravvalutando le mie doti, non certo cervellotiche di brava e costante lettrice, di adattamento al grottesco gioco di Grass.
Spinta più dalla spocchia radical chic che dalla reale leva dell’inesauribile curiosità di conoscenza, ho intrapreso la lettura con la leggerezza di sempre.
E inconsapevolmente sono entrata nella delirante Odissea del nostro Oscar, mente inesausta essudatrice di sillabe, il protagonista in prima e terza persona nonché il percussore del tamburo di latta biancorosso, raccontata in 604 pagine divise in tre libri rispettivamente di 17 capitoli il primo, 19 il secondo e di 14 il terzo.
Una lettura impegnativa, inusuale, priva di ogni forma di sentimentalismo, pietismo, romanticismo, umanismo che non accenna ad alcuna lacrima sebbene il nostro Oscar stamburi gli orrori della guerra e il surrogato di felicità e di benessere del dopoguerra.
Del resto per piangere basta sbucciare cipolle!
E cosi rispettando la legge chimica di attrazione e repulsione, Ruspitin e Goethe, sacro e profano, dolce e salato, bene e male, bianco e nero, sono andata avanti stamburando le nocche sulla copertina ogni qualvolta finito un capitolo. Sebbene non vi nego e con un certo imbarazzo – chiedo preventivamente perdono ai veri intellettuali, saggisti, storici, filosofi e letterati, artisti teatrali, pittori, scultori ect – che spesso sono stata tentata di catapultare il libro oltre la finestra assalita dalla irrefrenabile voglia di distruggere con voce vetricida tutte le lampadine da 60 watt e insetticizzare tutte quelle povere falene che, attratte dalla luce artificiale esclusivamente delle lampadine da 60 watt, stamburano divertite nel vetro opaco cosi da dare vita a Oscar e il suo tamburo di latta.
Non vi racconto qui la trama perché spogliandola dell’eccesso, riducendola a un raccontino, potrei mortificare il premio Nobel e tutta la Polonia, inzozzare il dolore della guerra, contaminare i sogni nonché i desideri perversi, distruggere il tamburo di un Oscar trasformista: bimbo di tre anni dalla lucidità e consapevolezza di un impassibile e sconcertato adulto, a volte Yorick giullare di corte, a volte Narsete grande condottiero, spesso Pollicino, per ultimo un nano gobbo e deforme.
Mi limito ad esprimere le mie sensazioni scaturite dall’articolata lettura senza nascondermi nelle quattro gonne color patata di nonna Anna o nell’armadio di sorella Dorothea. E stamburando con le mazze una per ogni mano il tamburo di latta che si materializza davanti a me, cerco d’intonare un suono logico in tutta questo purpirì di illogicità di storie su storie, insulse, irritanti, banali, allucinogene, che si perdono per poi riagganciarsi abilmente in un giro vizioso di incontri e rincontri in tempi che sfuggono e riappaiono nella Grande Storia.
Il linguaggio e la scrittura pop – così mi viene da definirla – fortissima e faticosissima; acuta, ironica, intelligente, strampalata, rocambolesca, picaresca, brillante, impegnativa, dopo aver provocato reazioni allergiche e conati di vomito ti trascina con il suono del suo piffero magico verso le sue acque rischiando di farti annegare insieme a tutte quelle figure che animano i racconti di Oscar, invisibile Pollicino, che ti narcotizza con il suono del suo tamburo.
A fine lettura non ho potuto non stamburare che Günter Glass è stato sicuramente un genio. Lo rileggerò? Non lo so. Ma lo consiglio soltanto riagganciandomi alla mia premessa iniziale
“…il cesso è il luogo in cui ciascuno è, diventa o rimane un libero pensatore”
IL TAMBURO DI LATTA Günter Grass
Molto interessante, lo leggerò sicuramente dopo aver letto la tua avventura con questo libro.