QUESTIONE DI COSTANZA, di Alessia Gazzola
Due mesi e mezzo fa, giorno più giorno meno, ho fatto una gitarella fuori città e in una stradina seminascosta mi sono imbattuta in una piccolissima quanto deliziosa libreria (chissà come farà ora con le misure di sicurezza antivirus. Che tristezza!).
Trattava prevalentenente libri storici e temi sulla natura del luogo che non hanno suscitato in me alcun interesse. Ciononostante mi piaceva indugiare in quel luogo minuscolo dall’odore stantio di carta stampata. Ma, come spesso mi capita quando entro nelle librerie, non potevo uscire a mani vuote. Ed ecco che su uno scaffale adocchio tre libri della Gazzola, gli unici di stampo recente e fuori contesto in quell’ambiente che trattava tutt’altro genere.
Mi sono chiesta come mai, poi , però, ho preso coscienza che mi trovavo a Messina, il paese natio della scrittrice, e ho fatto 2+2.
In breve ho comprato “Questione di Costanza” pur avendo giurato a me stessa che, dopo aver letto “Lena e la tempesta”, non mi sarei più avvicinata alla Gazzola.
Il libro è rimasto sul comodino, appunto, per oltre due mesi spostato solamente per togliere la polvere.
Ma qualche sera fa, prima della fase 2 che ha allentato il famoso ormai storico lockdown di questi primi mesi di un impensabile 2020, mi è capitato fra le mani.
L’ho guardato con sfida rigirandolo fra le dita e ho pensato sconsolata (chissà perché?!) che dovevo dare un’altra chance all’autrice solo per il fatto di essere siciliana proprio come me e poi, mi sono detta, una scrittrice i cui libri vengono tradotti in cinque lingue dovrei pur conoscerla meglio.
Ora che ho finito posso dire che da due e passata a tre stelline sulla linea della mia preferenza: la fantasia c’è e credo proprio che la scrittrice, e con lei la sua équipe, si sia abbastanza impegnata nel creare due storie tra il presente e il passato ben collegate fra loro, lo stile è fluido, la scrittura fresca e leggera, variegata in virtù di un buon lessico e una conoscenza culturale a tutto tondo.
Ma devo confessarvi che malgrado l’impegno e la bella scrittura la banalità si presenta sfacciatamente dietro ogni fine capitolo, sovrastando la trama e rendendo le storie prive di spessore.
Ci troviamo di fronte Costanza, un’involontaria eroina moderna, nel ruolo di palepantologa più per necessità che per passione, quindi in tutta la sua precarietà; Marco, un giovane architetto benestante, figura maschile indefinita (insensato o saggio?) e Florabella una bimbetta alquanto viziata e antipatica – Montessori flagellami!
Per non parlare dei ritratti disseppelliti dal lontano Medioevo svuotati d’intensità storica, ridotti a personaggi di un’improbabile love story.
Certo vanno di moda questi romanzetti di eterni adolescenti imbranati sia in amore e che nella quotidiana vita sociale, e sono perlopiù protagoniste femminili eterne Bridget Jones. Probabilmente rispecchiano il periodo in cui viviamo, ma è innegabile che lasciano un senso di non appartenenza e vuoto psicologico notevole. Lo percepisco soltanto io? Forse sarà per l’età che mi distanzia dalle protagoniste?
Certo non pretendevo una storia alla Dostoevskij o chissà quale altro capolavoro, ma Gesù Gesù facciamole crescere queste protagoniste e diamo più intensità a questi uomini! E la storia antica raccontiamola bene soprattutto quando viene imbastita di molta fantasy!
Per chi ama una lettura leggera e senza troppe pretese.
“Il tempo ha il potere di minimizzare l’impressione di quel che allora sembrò grande”
Recensione di Patrizia Zara
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