“Questioni di sangue” di Anna Vera Viva è un libro che dipinge in piena luce la Sanità, un noto quartiere di Napoli dove in verità i residenti vantano una qualità della vita che di sano non ha molto. Rione povero e popolare, di vicoli e vicoletti, bassi e abitazioni malsane, precarietà dell’esistenza, istituzioni e stato sociale assente, delinquenza obbligata, dove imperano miseria, espedienti e piccoli traffici illeciti.
La scrittrice napoletana riporta con maestria le mille esistenze che popolano il quartiere, il piccolo falsario di abiti firmati, il ladruncolo, la contrabbandiera di sigarette, la prostituta tanto bella e delicata quanto lontana dalla turpitudine del suo mestiere, insieme ad altri membri onorari del popolino non inclini a delinquere, e però costretti ad arrabattarsi con mille sacrifici e rinunce per sbarcare il lunario. Il romanzo è uno spaccato del rione, e per estensione della città, davvero ben costruito, con esattezza, precisione e riportato senza nulla di scontato, stereotipato, folcloristico, anzi, in modo più che attraente, direi avvincente. Il narrato ritrae con la penna, meglio che con un pennello, volti, situazioni, emozioni, finanche l’amore immenso, incondizionato, perenne e viscerale del popolino per la squadra di calcio del Napoli.
Con pochi schizzi ecco figure tracciate nei particolari, fatti storici, miti e leggende dei luoghi, un vero e proprio tour esoterico nella Napoli di tradizioni e misteri: “O’ Munacone”, il cimitero delle Fontanelle, l’ossario sotterraneo con i teschi e la “scolatura”, le anime “pezzentelle”, e tutto quanto fa del quartiere, e di Napoli per estensione, città fatata, fiabesca, incantevole, magica, misteriosa ed insondabile, tanto vivida con pari intensità in superfice e nelle sue viscere. Anna Vera Viva si rivela qui ed ora scrittrice formidabile: riporta la sua storia inserendola abilmente nelle storie della città, con cura, attenzione, impegno e dedizione; non appesantisce mai la sua prosa, anche nei momenti più da soliloquio dei suoi personaggi, con abilità e maestria li fa apparire quasi si confidassero con il lettore, ha dono ed istinto di presentare il suo lavoro più da ascoltare che da leggere.
Non ci fa vedere la città, il quartiere, ce li fa sentire. La Sanità risuona di voci, dei richiami, dei pettegolezzi, degli “inciuci”, il lettore sente e segue così l’evolversi dei fatti, è l’ombra del parroco protagonista, un prete sanguigno e girovago, un Don Camillo napoletano buono e generoso quanto burbero e impetuoso, come lui si arrabbia e si indigna, è caritatevole e furioso, fraterno ed umano, talora burrascoso nell’animo. La Sanità è un misto tra sacro e profano, una comunione inestricabile tra il mondo delle anime defunte e quello terreno degli animi tormentati dei viventi, la scrittrice ha pensato bene di affiancare ad un Sindaco del Rione Sanità di eduardiana memoria anche un prete di pari stoffa, il parroco del Rione Sanità. Realmente fratelli tra loro, fratelli di sangue, non per modo di dire. Insieme i due fratelli si troveranno, e si ritroveranno, il buono e il cattivo, le due facce della stessa medaglia, la parte liquida e quella solida che costituiscono lo stesso sangue; diversi, ma uniti come vuole la voce del sangue; ed insieme indagheranno sull’omicidio di una mela bacata del quartiere, un elemento destabilizzante del precario equilibrio vigente nel quartiere tra lecito e delittuoso, accettabile e deprecabile.
L’indagine sviscera le motivazioni più recondite e profonde del delitto, le questioni di sangue, appunto, che sono intrinseche e talora inesplorabili ai comuni mortali come i misteri dell’anima: perciò la soluzione può essere fornita solo da un ecclesiastico, un ministro di Dio, dal Parroco del Rione Sanità. Soluzione che ha un sapore ferroso, naturalmente, dopotutto sono questioni di sangue.
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