“Resistenti al buio”, le intense liriche di Federica Introna
«Antica e selvaggia sarà la strada. Nulla più da perdere cammino nel biancore delle rocce. Libera come il falco fra le volute del vento. Al mio fianco i pini d’Aleppo, i mandorli bianchi, guide e compagni al passo. Più leggero l’animo e nuovo ora, mi vedo negli occhi della volpe che lascia la tana e non teme più il morso del lupo»: Federica Introna presenta “Resistenti al buio”, una raccolta di liriche in cui l’elemento naturale è predominante ed è profondamente legato al sentire umano. Allo stesso tempo, però, l’essere umano sta distruggendo questo tesoro prezioso, soffocando le piante, privando gli animali del loro habitat, razziando senza sosta per il proprio egoismo. In questa silloge poetica conosciamo quindi le luci e le ombre di un’umanità complessa e controversa, capace di atti d’amore e di altri caratterizzati da un odio atavico; la violenza dell’uomo si abbatte sulla natura così come sui propri simili, e la poetessa decide di denunciare questa brutalità in poesie di grande impatto e di alto valore sociale e ambientalista.
Ed ecco che appare chiaro il titolo dell’opera, “Resistenti al buio”; in queste liriche si parla della resistenza e del coraggio di chi non cede: il gabbiano che vola nonostante la fatica, le donne che si rialzano dopo aver conosciuto l’aggressività di chi doveva amarle, i germogli che trovano la forza di non cedere alla morsa del gelo. Federica Introna esplora la complessità della condizione umana non concedendo sconti ma esprimendo lucidamente ciò che pensa e sente – «Fuggi, nel vento d’acqua di gennaio germoglio ancora ignoto alla primavera, al cielo che s’apre e si tramuta. Nell’assenza di voci, corri. Se ti fermi è pace breve e d’interesse. Con te nessuno si fa ascolto e redenzione.
Cammini, lungo strade di catene. Cerchi la vita al buio e il buio aspetta te. Sei il rivolo di luce ribelle, fragile e fresco, invidia del male. Ultimo sentiero all’innocenza. Quattro mura di gelo sono la tua meta. Stordita arrivi e ignara, come all’ara l’animale. Scende così la notte più fonda, di pianto e sangue. E tu, agnello, urli. Urli tutta la vita che non sei ancora». L’autrice dimostra la sua sensibilità e la sua vasta cultura in un’opera che si apre sulla potente immagine di una particolare varietà di fiori che si schiudono solo alla luce, diffidando del buio, e che si conclude con la sua ricerca delle proprie radici, in un viaggio fisico, mentale e spirituale attraverso le meravigliose terre pugliesi.
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