GALATEA, di Madeline Miller (Sonzogno – ottobre 2021)
Oggi nel giorno dedicato a infinite iniziative per contrastare la violenza sulle donne, dove l’educazione è il grande contenitore da riempire con nuovi metodi e contenuti, eccomi a proporre di metterci dentro la poesia. Avrei potuto scegliere tantissime poesie di donne poetesse che amo e che questo tema hanno trattato, dalle americane alle russe, ma anche di donne italiane come Alda Merini o Amelia Rosselli. Ma ho scelto Madeline Miller che poetessa non è ma che poesia è la sua “Galatea”. Troviamo una ‘lei’ in un contesto contemporaneo, in una stanza di ospedale. Scopriamo che è lì, perché suo marito la considera bisognosa di cure, come le infermiere, che pensano solo a «scopare con il dottore», per le quali lei vale «più da malata che da sana». La narrazione contemporanea ci tuffa in un contesto di cura che ricorda un ambiente di soffocamento dell’io femminile, considerato nevrotico, pazzo: il manicomio di Alda Merini, per esempio. Ma la protagonista è antica, viene da lontano, è colei che fu scolpita nella materia grezza da uno scultore uomo, Pigmalione.
La leggenda narra che Pigmalione si innamorò perdutamente della statua modellata secondo il suo ideale di bellezza femminile e che nella realtà non trovava pari. Fu richiesto l’intervento divino e la statua si tramutò in essere vivente. La donna perfetta, creata e forgiata secondo i propri desideri: il prototipo della donna che uomini violenti cercano di plagiare e rinchiudere in casa nell’iter di escalation manipolativo che se non interrotto per tempo porta al femminicidio. L’autore è l’uomo-scultore-marito-padrone che vuole solo possedere l’oggetto del proprio amore-desiderio, a cui non interessa minimamente scoprire le aspirazioni, i moti dell’anima della donna che dice di amare. Certo, lo fa in buona fede, è davvero convinto che sia così, che lei pensi e voglia quello che pensa e vuole lui. È un mondo, il nostro, e non solo quello della letteratura, che non cambia: dai tempi dell’antica Grecia ai giorni nostri il mito di Pigmalione e della sua statua ci propone un’immagine femminile riflessa dalla mente maschile.
Purtroppo se guardiamo alla storia, nella vita reale le cose non sono poi molto diverse. Lo dimostra il fatto che, nel tempo, gli uomini s’interessarono e scrissero della leggenda, senza mai attribuirgli un nome. Che fossero artisti, pittori o scrittori, non cambiava molto. Nessuno di loro si preoccupò di chiamare questo strano essere vivente, nato dalla pietra. Tutto sommato, rimaneva un corpo privo di identità, esistente solo in quanto emanazione maschile. È interessante scorgere la leggenda nel corso dei secoli: Goethe fu forse il primo a sentire l’esigenza di darle un nome e la chiamò Elisa. Solo di recente, le viene attribuito il nome Galatea, che deriva dal greco antico Galateia, latinizzato in Galatea. Il termine ‘gala’ significa latte, si riferisce alla bianca spuma marina, e significa quindi “bianca”, “lattea”, “bianca come il latte”. O come il marmo, la materia dalla quale è stata scolpita. Una rilettura moderna del terzo millennio in chiave poetica e femminista, conferisce alla creatura pensiero, emozioni e progetti futuri diversi da quelli del suo creatore, ancora convinto di essere lui il padrone della sua mente e del suo cuore. Proprio come coloro che si macchiano di crimini nefandi contro le ‘proprie’ donne, quelli che le considerano ‘oggetti’ di loro proprietà. Cloni o avatar di loro stessi.
Come ci ricorda Carlotta Vagnoli, attivista femminista fiorentina, in ‘Maledetta sfortuna’, «il femminicidio ha lo scopo di perpetuare la subordinazione di genere e di annientare l’identità individuale della donna.» Carlotta Vagnoli è una survivor, cioè una donna che ha rischiato il femminicidio. Sa di cosa parla. Purtroppo, il pattern è identico a quello della leggenda di Galatea. Devi essere come dico io, sennò sono guai. E riguarda ancora tante donne, troppe. Ahimè. Le cifre confermano. Il femminicidio è un fenomeno che fa parte della cronaca di ogni giorno e non accenna a diminuire. In Italia, sono 103 le donne uccise nel 2021, una ogni tre giorni; 87 sono state uccise da persone a loro vicine; 60 dal partner o ex partner. E oggi, 25 novembre, in tutto il mondo si svolgono iniziative per l’eliminazione della violenza contro la donna. La data è ricordata a livello mondiale, resa ufficiale dall’ONU dopo essere stata proposta da un gruppo di donne attiviste a Bogotà nel 1981. Proprio in quella data, nel 1960, le tre sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono arrestate da agenti dello Stato, torturate, massacrate, gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per far credere che fossero morte in un incidente. Oggi, sono considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Trujillo Molina, soprannominato El Jefe (il capo), il dittatore che in seguito a un colpo di stato governò in modo rigido e vessatorio la Repubblica Dominicana per oltre 30 anni.
Se le sorelle furono vittime di un sistema al potere, al quale non furono in grado di sottrarsi, Galatea, invece rappresenta un mondo di fantasia, un mito che si può riscrivere, e narrare all’infinito. Gli uomini si sono limitati a dargli un nome. Madeline Miller, nella sua vestizione innovativa la ricopre di significati nuovi, con pochi abiti se non la propria essenza. Galatea, riesce a sfuggire a un destino scelto per lei. Spezza la catena dei soprusi nei suoi confronti. Il mito, la storia, così come la raccontano gli uomini, rimangono seppelliti in fondo al mare con la morte di lui, accanto a lei, che dorme, perché di pietra. La scrittrice americana conosce bene il mondo antico, i suoi miti, le sue leggende, è conosciuta in tutto il mondo per la sua rilettura femminista dei grandi miti classici, per le sue nuove narrazioni. “Galatea”, rinarrato da lei, è un racconto delicato che sfocia nella poesia, nella versione italiano persino arricchito dalle splendide illustrazioni di Ambra Garlaschelli. Finisce in fondo al mare, ma lascia nei cuori un desiderio di ribellione, di rivalsa, di viaggio identitario. Da compiere per tutti. Uomini e donne, ognuno in cerca di un sé portatore di vita, di futuro e condivisione.
Dopotutto, sembra volerci dire Madeline Miller, la forza dei miti greci e delle loro variazioni sul tema, posseggono qualcosa di metafisico, sono ponti gettati verso un altro mondo possibile. Ma questo mondo è raggiungibile solo con l’ausilio della poesia. Chi è sensibile alla bellezza, la osserva e chi osserva la bellezza scopre l’altro da sé. E ne subisce l’incanto. Potrebbe accadere anche agli uomini, succubi di loro stessi. Potrebbero morire in fondo al mare e rinascere senza il marcato senso di onnipotenza lasciandosi cullare da un nuovo sentimento che sa di mare, di schiuma marina. Che è trasparente e non rosso di sangue.
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