Rimaneggiare un classico distruggendolo: IL CANTO DI PENELOPE, di Margaret Atwood
La moda non mi disturba, se crea cose belle.
Mi vengono in mente la “Cassandra” e la “Medea” di Christa Wolf che sono libri da pelle d’oca.
Anche “La Torcia” di M. Zimmer Bradley è una bella riscrittura della guerra di Troia raccontata in prima persona da Cassandra.
Segue a ruota la “Circe” di Madeline Miller, o la sua “Canzone di Achille”, altri due testi scritti (a mio parere) molto bene.
Si può citare Pat Barker e il suo “Il silenzio delle ragazze” anche se già con questo testo si tende a romanzare un po’ troppo, secondo me.
Ovviamente, in questo fior fiore di lista non poteva di certo mancare lei.. e proprio di lei vi voglio parlare oggi, e del suo fiasco totale.
La Penelope di Margaret Atwood è stata una completa delusione.
Il titolo preciso del testo è “Il canto di Penelope” e la nostra talentuosa scrittrice ha voluto strafare.
Ha voluto mischiare diversi generi letterari per “esaltare” (secondo lei) la figura “dimenticata” di Penelope.
E’ riuscita (io mi sto ancora chiedendo come abbia fatto) a renderla ancora più banale e mediocre e scialba e non so più quale altro aggettivo usare, di quanto non abbia fatto Omero.
L’eroe è Ulisse e su questo non ci piove, perciò nel componimento omerico nessuno si aspetta l’esaltazione della figura femminile.
Ma che una scrittrice, donna per giunta, prenda in mano questo personaggio per farlo sminuire da se stessa (visto che il componimento è in prima persona) credo sia davvero il colmo.
In mezzo a questa narrazione vuota ci sono, addirittura, gli interventi (in poesia) di un coro femminile del tutto inutile.
Il coro è una figura fondamentale del Teatro Greco… se si decide di farlo parlare, deve esserci una motivazione, altrimenti il lettore salta il pezzo a piè pari, come ho avuto anche io la tentazione di fare.
Tra l’altro, nell’Odissea, queste ragazze, trasformate ingiustamente in un branco di galline dalla Atwood, sono invece protagoniste dell’atto di violenza e ingiustizia più vigliacco che possa esistere. Mi aspetto perciò che in un tempo come il nostro dove ancora (purtroppo) si parla di violenza sulle donne, femminicidio e chi più ne ha più ne metta, la voce di questo coro sia un lamento profondo e importante e invece…
In più, per coronare il tutto, Penelope racconta la sua storia intervallandola in maniera incomprensibile con delle “frecciate” al mondo di oggi. Penso volesse fare un confronto tra la religione come la viviamo oggi e come era invece sentita ai tempi. Il risultato è invece una dissertazione superficiale e noiosa che ci si poteva tranquillamente risparmiare.
Dopo aver letto il “Tiresia” di Camilleri, che fa la stessa cosa, in un quinto delle pagine di Penelope, credo proprio che non ci sia storia.
Libro BOCCIATO, dove non si salva nulla e che non consiglierò mai.
Piuttosto, volete un libello eccezionale che vi rimarrà dentro per tutta la vita?
Accettate il mio consiglio… Leggete “La morte della Pizia” di Durrenmatt, ne rimarrete folgorati.
in effetti le forzature moderniste sono tali e tali rimangono.C’è una moda che tende ad affibbiare agli antichi la previsione e predeterminazione di tutto l’oggi. Altra cosa è cogliere in taluni elementi della classicità forme dalle quali si colgono i mutamenti culturali e civili del loro tempo in divenire.Penelope è una coprotagonista dell’odissea non alle prese con i problemi dalla donna di oggi ma del “suo” tempo e di quelle specifiche circostanze civili e giuridiche. Iniziò il tempo del Diritto, ma non del Diritto delle Donne.Si distinse Aspasia, ma aveva avuto ben altra….formazione.