SBIRRI E CULICALDI, di Stefano Talone (Ensemble)
È ambientato a Londra, la Londra dei nostri giorni. La vicenda prende il via in una notte di dicembre del 2016, quando due ragazzi, i fratelli Akram, spariscono senza lasciare tracce. Si tratta di Usnam e di Rashid, due giovani pakistani di seconda generazione. Due culicaldi per l’appunto, come vengono chiamati, in gergo poliziesco i sospettati di terrorismo. Infatti, a ragione di alcune intercettazioni dei servizi segreti, qualcuno all’interno dei servizi di sicurezza è convinto che vogliano farsi saltare in aria.
Sulle loro tracce si mettono due investigatori.
Oliver Outberry dell’ufficio Antiterrorismo e Victor Gell del distretto di Lewisham.
Oliver e Victor sono due poliziotti agli antipodi diversi umanamente e nei modi.
Oliver è zelante, è arrogante, è superbo. È un incattivito dalla vita, troppo preso dalle sue convinzioni personali e dai suoi risentimenti. È un ometto dai modi poco ortodossi, magro, curvo, con un paio di occhi piccoli e veloci, ripugnante da guardare per via del suo naso sfregiato, quasi spappolato di cui gode a fornire motivazioni diverse di volta in volta, in base all’interlocutore che ha di fronte… insomma un uomo provato sia nel corpo che nell’animo.
L’incarico da parte della struttura governativa chiamata Orecchio, di rintracciare i fratelli Akram, rappresenta per lui un’occasione di riscatto; la rivalsa che aspettava dopo tanto tempo per tornare in pista, dopo aver combattuto gli irlandesi dell’IRA negli anni 80 ed essere stato poi declassato e dimenticato all’ufficio servizi per il territorio dell’antiterrorismo.
Victor Gell è invece uno sbirro di periferia. Vive e lavora nel distretto di Lewisham, a sud di Londra, il sobborgo più grande della città, che è anche il quartiere da cui provengono i fratelli Akram.
Come Outberry anche il capo Gell ha un passato di guerra sul campo, ha infatti combattuto nella guerra delle Falkland.
Ma a differenza del primo non ha mai abdicato alla sua umanità, mantenendo sempre il contatto con la variegata moltitudine esistenziale che lo circonda e con la realtà che ha di fronte, vivendo e lavorando più sulla strada che in ufficio.
Ma veniamo ai fratelli Akram, introvabili e irrintracciabili. Perche sono scomparsi?
Nel romanzo non li incontreremo mai direttamente. Non ci interfacceremo mai con loro. Tuttavia loro esistono poiché vengono raccontati, tutta la loro vita e i loro percorsi vengono sviscerati e portati alla luce.
Infatti la vera forza attrattiva del romanzo risiede nell’indagine sociale compiuta sul campo che si accompagna a quella tecnologica compiuta dai servizi dell’antiterrorismo attraverso l’analisi di mail, telefonate e messaggi. Ma rispetto a questa l’indagine sul territorio acquista spessore e ha una rilevanza ridondante.
Attraverso le indagini percorriamo le strade dei sobborghi multietnici londinesi tra pub e off license, garage trasformati in sale di registrazione, scuole improvvisate, bookshop, maratone di “Guerre stellari”, piccoli spacciatori e gole profonde come vengono chiamati gli informatori della polizia.
Così come importanza acquista la città, che diventa essa stessa protagonista del romanzo. Sempre attraverso l’indagine dei poliziotti, scopriamo le periferie suburbane di Londra, dove le strade si assomigliano tutte, come anche le case, con i loro tetti d’ardesia rovinati, le recinzioni marce e la vernice scrostata degli intonaci. Quartieri dormitorio per lo più, multietnici, abitati da immigrati di seconda generazione. Quartieri ghetto impregnati di razzismo, di segregazione e di deprivazione sociale. È In questo contesto che si incontrano giovani idealisti, spesso sradicati dai loro paesi di provenienza, di solito con precedenti penali, o qualche piccola condanna scontata in carcere sicuramente in balìa di un fermento interiore di messa in discussione di se stessi e del loro modo di vivere. Sono ragazzi che non hanno potuto o voluto sperimentare una cultura dell’appartenenza, sono consapevoli di avere poche possibilità di progredire nella scala sociale, danno segno di non trovarsi a proprio agio con il mondo, sono disorientati e confusi. Accade così che in poco tempo questi ragazzi si radicalizzino, diventando pericolosi.
Sbirri e culicaldi è un giallo avvincente, di sicuro non scontato, scritto in maniera fluida e che si legge scorrevolmente e che offre anche molti spunti di riflessione sul modello di integrazione che proponiamo a questi ragazzi e che l’Inghilterra ha esportato in tutta Europa con tutte le sue debolezze e le sue criticità.
Tutti i personaggi della storia sono stati ben delineati e tratteggiati, si possono osservare nella loro tridimensionalità: si può infatti affermare con sicurezza che nessuno è mai completamente buono o cattivo, ciascuno di loro deve rapportarsi con la propria umanità, con il fardello dei propri sbagli e del proprio dolore.
Sicuramente da apprezzare tutto lo studio e il lavoro di ricerca che c’è dietro a questo romanzo, compiuto dall’autore.
Nel romanzo non mancano i colpi di scena, quell’improvviso e inaspettato cambio del punto di vista della situazione che rende la lettura più accattivante. Il finale poi, del tutto imprevedibile, lascerà sicuramente il segno.
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