SCOMPARTIMENTO ROSSO CON BRACCIOLI, di Sal Ferranti (Ivvi editore)
“Cosa c’è di più vagamente romantico e démodé dello scompartimento di un treno? Se poi la poltrona è pure rossa coi braccioli sembra proprio di stare al cinema (altra location tristemente dismessa purtroppo… e specie di questi tempi!).
Allora non resta altro da fare che incrociare le braccia e allungare le gambe, mettersi comodi insomma e godersi lo spettacolo, uno spettacolo in cui i confini tra realtà e finzione si annacquano e si smarriscono, intrecciandosi in un’unica indistricabile tramatura dove tutto ‘non è’ ma potrebbe anche essere. Le protagoniste? Tutte donne, tutte più o meno scialbe, consuete, insoddisfatte degli uomini, del mondo, talora di sé stesse… eppure tutte incredibilmente determinate a lasciare una traccia, un marchio, un’impronta indelebile che ne rappresenti – se non l’essenza – almeno l’aspirazione.
Un’umanità brulicante di buoni propositi e scalpitanti nevrosi, intimamente disillusa ma mai realmente disposta a dichiarare la resa. Perché? Perché sul piatto c’è l’amor proprio, il sogno, la sopravvivenza a tutti i costi… alla solitudine, allo smarrimento, alla frustrazione. E proprio lì si gioca tutta la partita, nella manipolazione più o meno virtuale della realtà, più o meno reale della virtualità.
Lo spettatore? Forte della consapevolezza del viaggio, le guarda, e se la gode e se la ride. Si compiace di calcarne i contorni, di scoprirne il grottesco, di rivelarne le crepe, però in fondo le ama tutte, le ama a tal punto da aver smarrito nei loro confronti ogni genuina e immediata pulsione, da essere già scivolato nel ruolo dell’amico e del confidente, da aver già concesso loro il beneficio del dubbio anche dinnanzi a prova contraria. D’altronde quale specchio è migliore di quello dei social per scrutare a fondo le omogenee divergenze del presente?
E il femminile è divergenza, per tradizione e per necessità, che poi è la necessità di resistere alla labilità del maschile, di bastare a sé stesse, di completarsi da sole, pur non rinunciando mai a perdersi dietro il sogno confortevole e promettente di un sorriso tanto estraneo quanto idealizzato.
Tuttavia, sbaglieremmo a etichettare come esclusivamente femminile il mondo che ci si staglia davanti, esso è solo la cassa di risonanza di una società delusa, solitaria e circospetta, che ha imparato volutamente a sfumare i contorni, a lucidare con cura la superficie delle cose, a immortalare di continuo il perfetto istante da fiaba, perché anche una realtà edulcorata può aiutare a sopravvivere quando lo zucchero – per quanto lo si cerchi – non si trova più.”
Un romanzo fresco e frizzante, uno stile denso e molto personale, un occhio lungo sull’oggi… deformante ma giusto un po’.
Recensione di Esterina Guglielmino
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