SE QUESTA E’ UNA DONNA, di Monica Alvarez
“ Dante non poteva neppure immaginarlo,
l’inferno!”
Con un grande lavoro di ricerca, la spagnola Mònica Alvarez, giornalista investigativa, conduttrice radiofonica e scrittrice, ci presenta un libro sull’ideologia nazista e sull’olocausto visto non dalla parte delle vittime, in questo caso per lo più donne, come farebbe presupporre il titolo del saggio, ma da quella delle loro carnefici, donne come loro, che fecero della assoluta crudeltà, della brutalità e del sadismo il loro credo religioso.
Divise in 7 Arcangeli del Terrore e 12 Apostole del Reich, grazie al lavoro minuzioso dell’autrice, possiamo conoscere queste vere e proprie belve assetate di sangue, queste torturatrici che furono causa di migliaia e migliaia di morti e di atrocità impensabili dall’immaginazione più fervida. La Alvarez ne scandaglia la vita, l’infanzia, il loro ruolo nella società civile prima di entrare a far parte delle SS, le terribili testimonianze sul loro operato nei vari processi che seguirono alla fine della guerra, la loro fine o la loro scomparsa nel nulla o le pene carcerarie giuste o ingiuste che furono loro inflitte.
Ogni capitolo una storia: ognuna di queste terribili donne, non colte, non particolarmente intelligenti ma inglobate in una totale banalità del Male, tanto per ricordare l’opera di Hannah Arendt, è fotografata all’inizio di ogni capitolo. Ciascuna ha una sua scheda che ne riporta tutti i dati anagrafici, le “esperienze” lavorative, le torture preferite, il soprannome affibbiatole dai prigionieri del campo in cui esercitava il suo bieco potere, il tipo di morte a cui è andata incontro.
Tutti nomi accomunati dalla perversità, dalla malvagità, dalla crudeltà del loro agire: Ilse Koch, moglie di Karl, comandante del campo di Buchenwald, la cui preferenza era scorticare la pelle dei prigionieri tatuati per fare lampade o altri oggetti; Irma Grese, che si divertiva ad aizzare i suoi cani contro le prigioniere perché le sbranassero, l’Angelo di Auschtwitz; Maria Mandel, la “Bestia di Auschwitz, con la sua frusta e i suoi colpi mortali; Herta Bothe con il suo bastone di legno e la pistola che usava per freddare i detenuti, la Sadica di Stuttorf; Dorotea Binz, con il suo bunker delle torture; Hermine Braunsteiner, la Cavalla di Majdanek, con i suoi calci mortali dati con gli stivali con il tacco rinforzato in acciaio, sono solo alcuni esempi della lunga lista contenuta nel libro.
Donne che furono le principali rappresentanti del Male su questa terra, assassine in virtù di un bene comune, la razza ariana e che mai si pentirono delle loro azioni, che ricusarono anzi ogni addebito conservando un atteggiamento indifferente e superbo persino nelle aule dei tribunali, che negarono l’evidenza nonostante le numerose e tragiche testimonianze contro di loro. Tante le domande, tanti i meandri da scoprire per andare a cercare le risposte giuste, tante le ipotesi e poche le certezze: perché queste donne, spesso madri e mogli, si trasformarono in mostri di disumanità? Destino? Obbligo? Lavaggio del cervello? O il male era già insito in loro, in un corredo genetico orientato al crimine? Cosa dovevano dimostrare a se stesse e agli altri? Colpa della sete di potere? Desiderio di essere considerate alla stregua di divinità che potevano disporre a loro piacimento della vita e della morte di altri esseri umani?
Un libro crudo, accurato, che indaga all’interno del lato femminile dell’orrore nazista, dove le torture e le grida di dolore degli internati dei campi, fossero essi giovani o vecchi, donne, uomini o bambini e l’efferatezza delle loro morti, alimentavano l’insania di un appagamento psicologico aberrante scoperchiando una verità scomoda e sconcertante in un animo muliebre che si pensava e si pensa orientato verso la pietà, l’accoglienza e l’amore. E se ci sbagliassimo?
Recensione di Maristella Copula
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