
SENTIERI SELVAGGI, di Alan Le May – (Mattioli 1885 – dicembre 2024)

Nella sfolgorante costellazione della Letteratura Western (solo alcuni nomi: A.B. Guthrie, K. Roberts, L. McMurtry, M. Punke) “Sentieri selvaggi” brilla come una stella di prima grandezza. Texas, ultimi decenni dell’Ottocento. Una fattoria di allevatori e agricoltori viene razziata dai Comanche. Tutti gli abitanti vengono sterminati, meno uno: una bambina di sette anni, che i Comanche portano con sé. Due membri della sua famiglia partono alla sua ricerca, e il loro viaggio si trasformerà in una queste lunga quasi dieci anni, che li condurrà a Nord, in un ambiente inospitale e selvaggio, e poi nuovamente a Sud, in un peregrinare che sembra non dover avere mai fine. Amos e Martin spingeranno oltre ogni limite le loro capacità di resistenza, dovranno confrontarsi e scontrarsi con popoli e culture ‘nemiche’, con cui saranno costretti ad interagire, ma dovranno confrontarsi e scontrarsi anche con le rispettive visioni del mondo e dell’animo umano, fino ad un epilogo tanto drammatico quanto commovente.
Le May è un grandissimo scrittore, in grado di maneggiare innumerevoli registri: introspezione psicologica, abbaglianti descrizioni di una Natura colma di mistero e di poesia, travolgenti scene d’azione.
Capolavoro di una narrativa che definire ‘di genere’ è profondamente riduttivo, questo romanzo è una pietra miliare della Letteratura Americana del primo Novecento.
Recensione di Giuliano Corà
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