SOGNAVA I LEONI. L’eroismo fragile di Ernest Hemingway Matteo Nucci

SOGNAVA I LEONI. L’eroismo fragile di Ernest Hemingway, di Matteo Nucci (HarperCollins Italia – aprile 2024)

Il più grande torto che potrei fare a Matteo Nucci e al “suo” Hemingway, sarebbe avventurarmi in spericolate metafore marinaresche: immaginare Nucci al largo, su una barca da pesca, alla ricerca del mistero della scrittura di Hemingway, cullato dal suono delle sue parole, alle prese con un grosso pesce da catturare.

Altrettanto azzardato sarebbe se ricorressi alla metafora pugilistica: un corpo a corpo con l’opera di Hemingway, col suono della campana a scandire il tempo fra un round e l’altro, fra un libro e l’altro.

Peggio, se cedessi al fascino tauromachico della corrida, o di un safari nell’Africa selvaggia, come fossero riti, imprese compiute da Nucci per avere la meglio sull’animale-Hemingway.

Sarebbe un torto imperdonabile. Perché fra i molti meriti di questo “Sognava i leoni. L’eroismo fragile di Ernest Hemingway”, sin dalla premessa, ce n’è uno, gigantesco: sgombrare il campo da qualsiasi retorica.

Via i pettegolezzi biografici. Via gli orpelli, gli stereotipi, le allegorie e i simbolismi. Alla larga dall’agiografia, dal machismo del mito-Hemingway (mito che lo stesso scrittore, in vita, ha contribuito ad alimentare).

Matteo Nucci libera in partenza il discorso, da ogni possibile interpretazione fuorviante, ogni ombra, ogni distrazione. Per parlare della scrittura di Hemingway, bisogna prima compiere questo fondamentale lavoro di pulizia. La sua scrittura, importa solo questo.

Pulisce la pagina, prima di consegnarcela, in un supremo atto di ammirazione verso il lavoro di questo “eroe” moderno. Eroe nel senso omerico, come solo chi è consapevole della propria finitezza può esser degno di essere considerato.

E allora ecco i successi, ecco le cadute, le paure, i fallimenti. L’eroismo fragile e la fragilità eroica di un uomo, i suoi tormenti, raccontati senza morbosità, la sua sfera privata sfiorata sempre con rispetto e con delicatezza.

È soprattutto un lavoro sincero, questo ritratto. Un lavoro rispettoso. Un viaggio che punta dritto al cuore della scrittura di Hemingway, per svelarci il segreto di ogni omissione, di ogni taglio, il significato di ogni silenzio (ciò che non si “deve” e ciò che non si “può” raccontare) contenuto fra le sue pagine, o nascosto, sommerso, come il corpo di un iceberg.

Un percorso circolare, che prende le mosse dal “Vecchio e il mare” e al “Vecchio e il mare” conduce.

Ci sentiamo più ricchi, alla fine del viaggio, come avessimo carpito un segreto nascosto, per millenni seppellito sotto molti strati di terra. Leggendo di Hemingway abbiamo soprattutto letto e imparato qualcosa di noi.

Merito di una guida esperta, che ci ha fatto interrogare e incuriosire, mentre ci mostrava il cammino.

Questo è sempre per me, la voce di Matteo Nucci. Una guida. Una voce amica.

Recensione di Valerio Scarcia

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