SONO UNO SCRITTORE GIAPPONESE, di Dany Laferrière (66thand2nd)
Un’autobiografia romanzata. Una lettura che sfugge alle definizioni ma che mette decisamente di buon umore. Dany Laferrière, considerato il Bukowski contemporaneo della lingua francese è un autore esilarante.
L’editore italiano 66yhand2nd ha pubblicato di recente la trilogia di cui fa parte questo volume dal titolo spassoso. “Se hai trovato il titolo, il più è fatto” dice Laferrière. Certo, dopo all’autore gli resta ancora da scrivere il libro. E il libro non lo scriverà mai. Almeno nella storia raccontata, ci ritroviamo nella finzione della narrazione, alla fine del libro, con un autore che afferma «non sono più uno scrittore». E scende in strada, a prendere ispirazione fra la gente della sua città. Basho e il viaggio ritornano come ultima spiaggia di ricerca per la scrittura: la lettura! Perché leggere il maestro dell’haiku e inseguirlo nei suoi viaggi, o leggere altri autori è come viaggiare con loro. L’altrove è per Laferrière la lettura. “La biblioteca è il mio paese” dice.
Un grande lettore in primis. Ma anche un uomo che ama vivere, a cui non piace soffrire inutilmente come cercare di scrivere quando le parole non ci sono. Meglio svagarsi per la città, inebriarsi di sapori urbani, fare lunghe passeggiate nei parchi, oziare su una panchina, entrare in qualche locale dove si fa ancora buona musica. C’è però nel titolo qualcosa che ha a che fare con i confini. Con il limite che una nazionalità impone. È come se Dany Laferrière si ponesse oltre, in un territorio che ha altri confini, quelli geografici forse, o i punti cardinali, Nord, Sud, caldo e freddo. Nato a Haiti, fuggito dalla dittatura dopo l’assassinio di un suo amico, a 23 anni si ritrova a Montreal. Per l’autore è una seconda nascita. Siamo nel 1976, ci sono i Giochi Olimpici, la città è in fibrillazione.
Ci sono vibrazioni nell’aria che vengono tutte captate e assorbite dal giovane extracomunitario. Entra in un locale e la magia è totale: canta Nina Simone. E si può dire che l’esilio adesso si trasforma in un viaggio. Il viaggio della vita. Qualche mese fa, Laferrière ha pubblicato un libro scritto a mano e disegnato da lui sul tema dell’esilio: e il titolo tradotto è più o meno questo: “L’esilio vale il viaggio”. Ed è qui che sta la straordinaria luce che troviamo nei libri di Laferrière. La potenza della sua esperienza di scrittore. Da una situazione di esilio, fuoriesce il viaggio, la gioia di vivere, la voglia di rendere la propria esperienza unica. La follia del titolo “Sono uno scrittore giapponese” esprime proprio questo: l’autore, di Haiti, esiliato in Canada, provoca il mondo aggiungendo che ha una terza nazionalità: quella del poeta Basho.
Il Giappone diventa oggetto di scrittura, motivo del viaggio. Come nel libro, nella vita. Il Nord, il freddo, sconosciuto fino ad allora diventa metafora di morte e di nuove scoperte. Anche di morte, sì, perché Laferrière non conosceva gli alberi spogli. Di nuove scoperte perché a Montreal si apre la vita fuori dalla visione materna o da quella della nonna, entra nella lettura e nella scrittura. E di identità in identità, scopriamo che la sua vera casa è la libertà.
Nessun nazionalismo lo trattiene, nessun stile, nessun autore. Ma tutto lo fa muovere, spostarsi laddove vede luce. Come le prime stanze abitate a Montreal erano ‘luride e luminose’, così i luoghi che abita hanno sempre la luce e la gioia. Se non ci sono questi elementi, Laferrière li va a cercare da un’altra parte, si sposta. Vita, sogni, memoria. Tutti elementi che il lettore sente nelle parole di Laferrière. Quando abbiamo un libro in mano, abbiamo l’autore accanto. È il desiderio di Laferrière, che citando Walt Whitman auspica di entrare nelle nostre stanze.
Non è un caso che poi sia entrato anche nell’Académie Française, sedendosi sulla poltrona numero due, quella occupata a suo tempo da Montesqiueu. Fra i suoi tanti meriti, gli viene così riconosciuto quello di introdurre nuovi termini nella lingua accademica francese, termini che provengono dalle sue origini creole e dalla sua esperienza in Canada. Perché le parole bisogna pronunciarle, per farle entrare nella lingua francese. Dirle. Usarle. E se una parola è usata in maniera dispregiativa come il caso della parola ‘negro’, basta usarla con il suo significato creolo di ‘uomo’ generico, anche per designare un bianco. Ecco che tutte le frontiere le buttiamo giù, le barriere si dissolvono nel bellissimo viaggio delle parole. Della vita. Della fantasia. Della memoria. Della gioia di vivere.
Questo è solo una minima parte del vastissimo terreno che Laferrière ci invita a percorrere. Usando una sua metafora che ci piace, il viaggio, ecco che noi, lettori, ritroviamo noi stessi, ci immergiamo in nuove identità, scopriamo nuovi viaggi da fare. Con allegria. Con gioia. Con la voglia di farli questi viaggi, con o senza Dany Laferrière. J’adore.
SONO UNO SCRITTORE GIAPPONESE, di Dany Laferrière
Be the first to comment