STABAT MATER Tiziano Scarpa (Einaudi)
Diciamo la verità: il violino è uno strumento bastardo che già di suo ti fa andare fuori di testa.
Tutti quei suoni acuti attaccati all’orecchio, per ore e ore di pratica. Mille magagne di intonazione. Il contrario esatto della salubrità musicoterapica.
Se poi ci aggiungi per soprammercato il fatto di essere adolescente, orfana, chiusa in un convento, intelligente ma tendente pericolosamente all’astrazione, ecco che la frittata (di sinapsi) è bella che fatta.
Mater. Morte. Musica.
Partitura. Parto. Particolarità.
Cecilia di notte non dorme. Vaga per il convento buio, a piedi scalzi sul pavimento gelido, si rannicchia in un angoletto in cima alle scale, vicino a un tubo caldo. Scrive i propri pensieri su strisce sottili di carta da musica, come D’Annunzio quando era cieco da un occhio.
Cecilia. Cecità. Certezza.
Venezia. Verità. Virginale.
Cecilia non è mai uscita dal convento se non per brevi passeggiate tra le calli, infagottata e mascherata insieme alle altre giovani colleghe concertiste, per spostarsi in qualche luogo in vista di una esecuzione.
Ma se la Vergine non va alla Vita, sarà la Vita ad incaricarsi di raggiungere la fanciulla.
Entra in convento il giovane maestro (s)concertatore don Antonio Vivaldi, il prete rosso. La vita mentale ed emotiva di Cecilia trema dalle sue fondamenta, si squassa dall’interno. Che io sia per te non il coltello, bensì l’archetto.
Ma in effetti anche il coltello.
E il budello di pecora con cui sono fatte le corde. E il sangue dell’agnello sacrificale.
Cecilia ha finalmente trovato un’anima di sensibilità artistica affine alla propria.
Ma molto spesso il nostro gemello è anche la nostra nemesi.
Vivaldi. Vita. Verità.
Musica. Morbosità. Miracolo.
Inizia il corpo a corpo di Cecilia col mondo, con la vita, col lato seducente della realtà, e con quello oscuro.
STABAT MATER ☆ Tiziano Scarpa
Recensione di Marcello Ferrara Corbari
Premio Strega 2009: STABAT MATER Tiziano Scarpa
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