TENERA È LA NOTTE, di Francis Scott Fitzgerald
“Excerpe te vulgo” e “Recede in te ipse” diceva il buon vecchio Seneca invitando l’uomo ad allontanarsi dalla massa e rinchiudersi nel luogo più sicuro e intimo, ovvero in se stesso; in questo modo poteva raggiungere la serenità interiore che il filosofo chiamava “spinta verticale” e quindi successivamente dedicarsi all’ “espansione orizzontale”, ovvero trovare il proprio posto nel mondo ed essere utile alla società.
Tale premessa è indispensabile per capire il senso di questo romanzo perchè la concezione senecana si può tranquillamente applicare anche ai rapporti di coppia: se un rapporto è sbilanciato a favore dell’uno o dell’altro è destinato a fallire perchè il più debole riversa tutte le sue angosce e preoccupazioni nell’altro sperando che la sua “salute” sia sufficiente per entrambi; l’altro però diventa in tal modo una sorta di idolo e vive la sua vita in un rapporto “simbiotico” inglobando il partner: è ciò che avviene a Dick Diver e Nicole Warren i due protagonisti di questo romanzo; essi metaforicamente rappresentano l’idealismo americano imbottito di illusioni dei primi del ‘900 contrapposto al materialismo cinico degli “anni ruggenti” alla vigilia della crisi del ’29; inoltre rappresentano anche gli eteronimi dello scrittore alle prese con problemi di alcolismo, e della moglie Zelda che soffriva di problemi psichiatrici che in quegli anni trascorrevano le vacanze tra la Costa Azzurra e Parigi.
Inutile che i lettori più romantici, ingannati dal titolo, cerchino una trama: il romanzo non è altro che il racconto di una serie di situazioni vissute da due ricchi esponenti dell’alta società americana inseriti nel caotico contesto europeo tra le due guerre; la storia viene raccontata in tre libri ognuno dei quali ha un punto di vista differente, con al centro un lungo flashback che racconta l’arrivo in Europa del protagonista Dick Diver; il verbo “to dive” in inglese significa tuffarsi e in effetti Dick tenendo fede al cognome si tuffa nelle vita animato dalle potenti illusioni giovanili: è uno psichiatra e vuole diventare il migliore; a mano a mano però viene fagocitato dalla mentalità utilitaristica della moglie figlia dell’America “buona” di quegli anni e perde di vista gli obiettivi primari: la sua vita “corrotta dalla malattia della moglie” si configura come un lento e inesorabile climax discendente in cui si può leggere la parabola dell’uomo contemporaneo annichilito da una realtà alienata ed alienante in cui non si riconosce.
La scrittura sublime di Fitzgerald tratteggia con levità e fare espressionistico luoghi, personaggi, scenari: è una scrittura che va centellinata, gustata rigo dopo rigo, assaporata lentamente come quei cocktail che Dick/Scott e Nicole/Zelda sorseggiavano sulle spiagge della Costa Azzurra.
Capolavoro
Recensione di Luigi Salerno
Commenta per primo