TESSITURE DI SOGNO, di W.G. Sebald (Adelphi – agosto 2022)
Tessitura: serie di operazioni che hanno sostanzialmente lo scopo di produrre la formazione dell’intreccio di fili paralleli con un filo continuo.
Quattro prose dedicate alla Corsica e 13 saggi, già pubblicati in riviste letterarie, costituiscono il libro” Tessiture di sogno” di W G. Sebald pubblicato dopo anni dalla prematura morte dell’autore avvenuta per un incidente automobilistico il 14 dicembre 2001.
Al di là delle operazioni editoriali, i diciassette capitoli, che apparentemente si presentano indipendenti fra loro, sono intessuti dal quel particolare e unico filo conduttore che altro non è che l’ammaliante quasi ipnotica scrittura del geniale autore –ahimè troppo presto scomparso- poco adatta a trame tradizionali.
Un grande spessore culturale, un magma narrativo neobarocco rigoglioso e suggestivo, un calarsi nella realtà passando dalla dimensione onirica e surreale, un attraversare porte, a volte volutamente sbarrate, della memoria e del passato, evocare luoghi lontani e renderli vividi, far rivivere personaggi ormai fantasma e dotarli di un personale spessore letterario.
Ed è proprio lo stile unico di una scrittura che con abilità sorprendente intreccia parole, frasi ed episodi, personaggi del presente e del passato, che rende i temi elegiaci – il fardello di un passato doloroso a cui non si può obliare poiché racchiude tutti gli orrori che un essere umano può infliggere al suo simile, la guerra e tutte le inesprimibili sofferenze della tortura; la morte come “la parte di vita che da noi distoglie lo sguardo”; l’arte della fotografia la sola che legittima la verità dei fatti e che può fermare il tempo – di una profondità arguta poiché va oltre la mediocrità di un pensiero che si limita a esaminare soltanto una dimensione apocrifa di una realtà sociale affetta da cecità (leggi “Lutto impossibile, assenze nella letteratura del dopoguerra).
Ricordiamo che quando leggiamo Sabald i suoi scritti non sono soltanto saggi, cioè l’autore tedesco non si limita soltanto ad analizzare criticamente un determinato argomento storico, biografico o critico, egli è anche uno scrittore e in quanto scrittore denuncia, con le lame affilate delle parole, le assurdità di un’umanità che tende a smarrirsi in se stessa, avviata, malgrado moniti e richiami, verso l’autodistruzione.
“Nel corso di questa evoluzione anche la sofferenza personale si trasforma a poco a poco nella consapevolezza che le distorsioni grottesche della nostra vita interiore hanno uno sfondo e per fondamento la storia della collettività sociale”.
Vorrei segnalare tra i tredici interessantissimi saggi dove rivivono, attraverso la mitica penna di Sebald, le allucinazioni delle sofferenze di Jean Amery, gli interessi dell’esiliato Kafka (cinema) e i fantasmi di Nabokov, il saggio dedicato a Peter Weiss dal titolo “La mortificazione del cuore”.
Il testo di Sebald ruota attorno il capolavoro di Weiss “Estetica della resistenza”, mai tradotto in Italia (una mancanza colossale, a mio avviso).
Tale romanzo è la testimonianza di come un uomo perda per mano di un altro uomo l’essenza la sua essenza umana. Dove la sofferenza fisica, la carne, annienta e mortifica l’anima e il pensiero (il nostro Primo Levi insegna).
È la furia contro l’arte letteraria del dopoguerra copiosa e inutile, cieca e falsata, il desiderio di penetrare nell’angoscia della storia e la sua crudeltà, setacciare la causa e i suoi perché, scandagliare il fallimento del secolo e legittimare quello che resta della propria vita da sopravvissuto.
Mi sa, però, che l’umanità non ha ancora capito che i monumenti alla memoria non riscattano e sbarazzano la coscienza dai sensi di colpa e non ripuliscono le strade dal sangue che si continua a versare.
Gli esseri umani non sono pedine di una scacchiera di economia globale. Inorridisco quando nelle guerre si parla con tanta superficialità di perdite umane: numeri imbrattati del sangue in quel gioco perverso tra vittima e carnefice.
“La nostra specie è incapace di imparare dai propri errori”.
Aggiungo in onore a Sebald un pensiero del grande filosofo francese contemporaneo Gilles Deleuze, Pourparler
“Siamo pervasi di parole inutili, di una quantità folle di parole e di immagini. La stupidità non è mai muta né cieca. Il problema non è più quello di fare in modo che la gente si esprima, ma di procurare loro degli interstizi di solitudine e di silenzio a partire dai quali avranno finalmente qualcosa da dire. Le forze della repressione non impediscono alla gente di esprimersi, al contrario la costringono ad esprimersi. Dolcezza di non aver nulla da dire, diritto di non aver nulla da dire: è questa la condizione perché si formi qualcosa di raro o di rarefatto che meriti, per poco che sia, d’esser detto.
Gilles Deleuze, Pourparler”
Recensione di Patrizia Zara
TESSITURE DI SOGNO W.G. Sebald
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