THE OUTSIDER, di Stephen King
Chiarisco subito un aspetto essenziale: io adoro Stephen King.
La sua abilità narrativa viaggia sempre su livelli eccelsi. Sarò di parte, forse, anche se la mia propensione a vivisezionare una storia è quasi proverbiale ma per King ho sempre una buona parola. Lui è il mio punto debole.
Ma veniamo a The outsider che ho finito di leggere un paio di minuti fa.
Una delle dichiarazioni più note di Stephen King è quella che lui sa fare molte cose malissimo: strimpella la chitarra, non sa ballare, né aggiustare un rubinetto che perde. Ma se scrive, lì, nella sua dimensione, il suo habitat naturale, proprio lì, scatena il suo talento innato e dannatamente incredibile, acquisendo un potere che fa visita a pochi eletti. Non appena si apre un suo libro è come se tra le pagine, le lettere, si facesse largo una mano invisibile che, pronta, afferra il lettore trascinandolo nelle profondità della storia.
Sono appena tornata da Flint City, una cittadina così a stelle e strisce che il bacon e le uova strapazzate fanno da cornice ai tradizionali scenari di una realtà piccola e tranquilla, dove la noia sembra regnare incontrastata da un tempo infinito e dove può essere spodestata all’improvviso da un agghiacciante omicidio ai danni di un ragazzino di soli 11 anni, il tutto condito con abile misura dal modo in cui questo viene commesso e servito a tavola con l’accusa mossa da prove schiaccianti verso uno dei cittadini esemplari, impeccabile insegnante d’inglese e amato allenatore di baseball.
Il suo arresto avviene platealmente davanti a un migliaio di persone durante una partita, ma durante l’interrogatorio l’accusato presenta alla polizia un alibi di ferro.
Una situazione inspiegabile e imbarazzante che mette il detective che segue il caso nella posizione di avere davanti agli occhi un questione illogica: la stessa persona presente in due posti diversi e lontani chilometri l’uno dall’altro.
Com’è possibile?
Con Stephen King, di fatto, ogni cosa si verifica e nei modi più inaspettati e imprevedibili, il male nella sua massima incarnazione che si traveste di banalità e consuetudini, il bene che vigila timido e diligente. I livelli di tensione e a tratti paura che serpeggiano in ogni virgola e punto sono così efficaci che per fare la tratta divano camera da letto avrei acceso anche le luci di casa della mia vicina.
Non scendo in dettagli, mi pare un sacrilegio. Vi invito a leggere questa storia che non presenta sbavature se non quella di avere una fine.
Avvertenze: consiglio di leggerlo in pieno giorno. La sua lettura risulterà più rassicurante.
Recensione di Deborah Papisca
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