THERESE, di Arthur Schnitzler
Arthur Schnitzler (Vienna, 1862-1931) è stato un narratore rivoluzionario di grande talento, non sempre e da tutti riconosciuto come tale, ha scritto soprattutto racconti e testi per il teatro. Al romanzo ha dedicato soltanto due opere: “Verso la libertà” e “Therese”. Fu un medico, (psichiatria, chirurgia, infine laringologia come suo padre) che, dopo anni di parallela attività letteraria, aveva finito per dedicarsi totalmente alla scrittura.
Erroneamente apparentato a Freud, e mal tradotto a lungo, si possono ringraziare studiosi come Giuseppe Farese che si sono adoperati per rendere giustizia a questo grande scrittore austriaco a cavallo fra due secoli, che fu costretto a lasciare l’incarico di medico militare dopo lo scandalo nel 1904 di “Girotondo”. Questa pièce teatrale è un’amara critica all’impossibilità umana di amare, o meglio alle difficoltà che un amore puro implica nel realizzarsi.
I contatti umani sono ridotti a un sesso consumato rapidamente, anche se l’atto sessuale che conclude ogni quadro è preceduto da un corteggiamento, dove i dialoghi tra i personaggi tendono a far risaltare l’aspetto grottesco di una comunicazione finta e calcolatrice.
Il girotondo permette di rappresentare tutte le classi sociali senza distinzioni: l’aridità colpisce tutti inevitabilmente, come la morte. Questa visione della società borghese austriaca fin-de-siècle si ritrova anche in altre opere dell’autore, ed è un nucleo centrale del romanzo “Therese”.
La storia di Therese è la storia di una gravidanza indesiderata. Nel 1892, Schnitzler aveva scritto un racconto che ne affrontava i risvolti psicologici e nel 1898 scriveva all’amico Hugo von Hofmansthal: «il vecchio schizzo ‘Il figlio’ (matricida) prende nella mia mente la forma di qualcosa che potrebbe essere quasi un romanzo».
Come sottolinea Farese nell’introduzione dell’edizione Oscar Mondadori, gli ci vorranno ben 25 anni per realizzarlo. Per un maestro della novella cimentarsi con il romanzo si rivelava un’impresa dai risvolti complessi. Rischiava di chiudere il personaggio in una struttura narrativa non adeguata. Invece Schnitzler usa l’escamotage del romanzo naturalista alla Zola, scrive la cronaca della vita di una donna, segmentata in 106 capitoletti che consente al narratore di mantenere il distacco dalle cose narrate. La vita scorre triste, banale, i fatti accadono e non hanno pietà. Therese assiste al compiersi del suo destino, mentre il lettore viene rapito dal ritmo narrativo e reso partecipe della storia che da individuale si fa universale e disegna la misera condizione umana della società borghese viennese a cavallo fra i due secoli.
La ripetizione ossessiva dei fatti della sua vita lavorativa che vede la protagonista inserirsi in innumerevoli case della Vienna borghese creano il ritmo e la poesia di quest’opera mostrando il dramma e la solitudine di una donna che non si piega a un destino pensato per lei da persone che non la amano. In questo romanzo Schnitzler ci regala una bellissima figura femminile, della quale esplora l’anima con grande sensibilità e modernità, descrivendo la difficile condizione sia economica che sociale di una donna di quei tempi e l’impossibilità di sfuggire a un’esistenza infelice.
Therese è una donna che vive nell’Austria imperial-regia in declino. È una donna sola, una single che presto diventa madre di un figlio senza un padre, che lei cerca di uccidere. Almeno con il pensiero. Non ci riesce e diventa una ragazza madre. Rimane sola e non si piega a un destino più facile: avrebbe potuto sposare un barone, uno stimato psichiatra, un mercante ricco. Anche professionalmente, visto le sue doti, avrebbe potuto diventare una discreta pianista, un’insegnante diplomata, invece si accontenta di fare la governante. La sua vera passione sono le passeggiate lungo i viali della metropoli di allora: Vienna. Inoltre non disdegna i bei ragazzi, le gite in montagna e i soggiorni sui laghi, in compagnia della gioventù dorata. Ma non partecipa mai veramente alle vicende in cui è coinvolta. Se socializza, lo fa indossando una maschera. Vede sempre l’ipocrisia insita in ogni situazione. Nei sentimenti, che non ricambia, avverte le freddezze e la strumentalità.
Tutta la sua famiglia non dimostra affetto e interesse per lei: la madre dalle relazioni ambigue è una scrittrice di romanzi di appendice che ruba le lettere amorose della figlia per trarre ispirazione; il padre che non sopporta una fine di carriera militare di second’ordine impazzisce e viene rinchiuso in un manicomio, il fratello nazista cambia il cognome di origine italiana in uno più assonante con l’ideologia estremista che abbraccia; infine il figlio diventa un delinquente da quattro soldi costringendo la madre a scene pietose di degrado e umiliazione.
Therese esprime l’incomunicabilità e la solitudine esistenziale, la desolazione, la banalità delle vicende umane, l’impossibilità di evitare la tragedia finale. Therese è sorprendentemente contemporanea. Vi sono sviluppati i temi universali della vita, la fragilità dell’amore, il desiderio di ricchezza e la brutalità della morte, il tentativo di liberazione e allo stesso tempo di fallimento. Ma anche la descrizione delle relazioni umane nella società viennese di fine secolo.
Nel suo ultimo personaggio femminile, Arthur Schnitzler racchiude la tragedia della fine di un’epoca, che aveva visto ben prima del suo compiersi, come lui stesso dice prima di morire: «Prima ho scritto tutto ciò e poi ho dovuto viverlo».
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