TOPEKA SCHOOL, di Ben Lerner (Sellerio)
Osannato dalla critica come una delle più interessanti e originali voci del panorama letterario americano degli ultimi anni, Ben Lerner si muove fra racconto, saggio, riflessione filosofica, autofiction, tanto da essere stato accostato, sin dai suoi esordi, ad autori come Sebald e Carrère.
Di «strani oggetti narrativi» ci parla Luca Briasco, che nella sua antologia “Americana” lo colloca fra gli “innovatori”. I primi due romanzi di Lerner rappresentano una nuova fase del postmoderno, nel momento in cui «realtà e finzione, poesia e prosa, descrizione e illustrazione (…) coesistono e si armonizzano per forza di stile e ragionamento».
Protagonista di questo suo terzo romanzo, “Topeka School” , pubblicato nel 2020, è nuovamente Adam Gordon, il critico d’arte e poeta del precedente “Un uomo di passaggio” (pubblicato nel 2012).
Campione delle gare di dibattito della Topeka High School, il giovane Adam si appresta ad affacciarsi all’età adulta, fra competizioni di oratoria, gare di freestyle negli scantinati e feste scatenate al ritmo di musica rap.
Alla narrazione in prima persona di Adam, si aggiungono le voci dei suoi genitori, entrambi psicanalisti, che arricchiscono il racconto con episodi di Adam bambino, della loro stessa infanzia, delle loro vicissitudini private e professionali. In questa «archeologia del presente» (prendendo in prestito il titolo di un bel romanzo di Sebastiano Vassalli), il lettore viene coinvolto in una complessa trama di testimonianze; una rete di fili sottilissimi, in oscillazione continua fra esperienza individuale e destini comuni.
Sullo sfondo delle vicende private dei personaggi, la provincia americana del 1996, anno di profonda crisi del Partito Repubblicano. Per le strade della piccola cittadina di Topeka, Kansas, fra villette residenziali che sembrano replicate in serie con uno stampo (meravigliosa la copertina dell’edizione italiana), i seguaci del reverendo Phelps manifestano al suono di osceni slogan come “Dio odia i froci”; la violenza verbale è spesso sul punto di cedere il passo allo scontro fisico; la dottoressa Gordon, mamma di Adam, femminista, autrice di libri di successo, è perseguitata da telefonate anonime a sfondo sessista.
Una riflessione sul valore del linguaggio, sulla forza della parola, impregnata di una ironia feroce («L’America è una adolescenza senza fine» , viene ripetuto in più di una occasione). Critica spietata della società dei consumi (nel «Sublime dell’intercambiabilità» degli enormi supermercati, sembra far capolino il DeLillo di “Rumore Bianco”) ma soprattutto, della violenza, della volgarità, della strumentalizzazione della paura, proprie del trumpismo, che fa da ambientazione al capitolo finale.
Indimenticabili le pagine dedicate alla “palestra” di dialettica, in cui il vecchio campione di dibattito istruisce Adam e lo aiuta a perfezionare le tecniche di oratoria, la mimica, la gestualità, allenando la lingua invece degli avambracci, in vere e proprie lezioni di «arti marziali linguistiche».
Romanzo di formazione polifonico, in cui la scansione degli eventi assume i ritmi e i riti dell’analisi terapeutica. Una sovrapposizione di piani temporali, di voci (alle quali si aggiunge il corsivo della testimonianza di Darren, un ragazzo problematico) , che conferiscono al romanzo un ritmo incalzante, a tratti vertiginoso, in un magistrale crescendo di tensione.
Ben Lerner
“Topeka School”
Sellerio.
Recensione di Valerio Scarcia
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