“Non è detto che il destino, per distruggere il cuore umano, debba menare un colpo brutale e usare tutta la sua violenza; da futili motivi anzi esso trae la sua indomabile gioia creatrice. Nel nostro linguaggio umano questo primo lieve tocco lo chiamiamo causa, e stupiti confrontiamo la sua piccola misura con gli effetti spesso straordinari di potenza. Ma come la malattia esiste prima di manifestarsi apertamente, così il destino non comincia solo quando diventa realtà visibile e concreta. Esso impera nello spirito e nel sangue assai prima che dall’esterno arrivi all’anima. Riconoscersi è già difendersi, e per lo più è invano.”
Zweig ha la straordinaria capacità di farti entrare nel personaggio, nella sua mente, nella sua anima. Ci riesce anche con questa novella bellissima che racconta di un padre, il vecchio Salomonsohn, che scopre durante un soggiorno a Gardone che l’adorata figlia Erna, per la quale ha fatto sacrifici e che adora, è ormai diventata una donna. Ebbene sì, la vede uscire dalla camera di un uomo, nel cuore della notte. È un’immagine, questa, che lo turba e lo delude a tal punto da diventare un’ossessione. Ed è proprio questa ossessione ad essere descritta meravigliosamente bene. È un’ossessione che si trasforma in dolore e in perdita di aspettative. È un’ossessione che fa precipitare in un baratro dal quale è difficile uscire.
La scrittura di Zweig non smette mai di affascinarmi.
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