Tre uomini in barca (per tacer del cane), di Jerome K. Jerome
Se avessi avuto la capacità di Jerome K. Jerome di raccontare la quotidianità oggi, ne state certi, avrei scritto il libro più spassoso degli ultimi tempi.
Avrebbe avuto il titolo di “Tre imbranate in barca, a tacer di G.”.
Quanti aneddoti bizzarri e inverosimili avrei potuto scrivere, una sequela di gag e digressioni alla Charlot o, meglio, alla Fantozzi, per rimanere nella comicità casareccia, o alla Ficarra e Picone, per rimanere nell’attualità.
Una fra le tante (gag) -non basterebbe una vita per raccontarle tutte -: “prendi l’àncora, abbassa l’àncora, sali l’àncora”, un’àncora pesantissima che ci balzava, noi delicate donzelle del XXI sec, da prua a poppa e che, tassativamente, s’incagliava negli scogli lasciandoci impietrite e nauseate, scompigliate streghe nell’ondeggiante dondolio.
Se avessi avuto la capacità di Jerome K. Jerome di descrivere l’incantevole, radioso paesaggio che circondava la nostra barca, i bagliori riflessi nell’acqua, l’oro del sole che incipriava la nostra pelle, l’aria frizzantina imbrattata di salsedine che inumidiva le nostre labbra rendendole salate; se avessi avuto questa abilità, tutto sarebbe rimasto immortalato nelle parole stampate in un libro che avrebbe percorso i secoli.
Ecco il libro di Jerome K. Jerome è la deliziosa cronaca, senza alcuna pretesa o secondo fine, di una gita in barca (doppio con timoniere, la “nostra” era un barca open di 6 mt) lungo le coste del Tamigi (la nostra gita era lungo le coste del mar Tirreno) di tre amici oziosi, tanto maldestri quanto simpatici, accompagnati dallo spassoso fox terrier Montmorency (noi accompagnate dal tollerante, docile G., marito, cognato, cugino delle rispettive impacciate barcaiole, a cui era stato dato l’appellativo di orsetto pulitore o angelo custode).
Ho letto qualche parere negativo di questo libro ritenuto noioso, definendolo dall’humor troppo inglese per i gesticolanti italiani.
Io l’ho trovato spassoso e geniale poiché non è facile saper cogliere la realtà, la normalità, nella sua eterna sregolatezza, nella sua imprevedibile follia, nella perpetua originalità del suo manifestarsi, che trova spesso impreparato l’essere umano. Jerome k. Jerome è stato capace di trovare la chiave di lettura umoristica, da buon osservatore che era, e colorare l’indifferenza della disperazione con il suo quieto humor anglosassone.
In più il libro è scritto con uno stile garbato ed elegante, dall’ ironia graffiante sotto la coltre della prosaica quotidianità. Ci sono, inoltre, passaggi descrittivi di pura poesia. E quel senso di vera amicizia che lega i tre uomini.
E ancora. Se nella lettura di un libro, qualsiasi esso sia ma scritto bene, s’intende, trovate parte di voi, anche oltre i confini del vostro provincialismo, fisico e mentale, state certi che il libro in questione non può non essere considerato un capolavoro.
“Gettate la zavorra, uomini! Fate che la navicella della vostra vita sia leggera, carica soltanto di ciò che vi è indispensabile…una casa ospitale, semplici piaceri, due o tre amici degni di questo nome, qualcuno che vi voglia bene e a cui vogliate bene, un gatto, un cane, qualche pipa, quel che basta per sfamarsi e per vestirsi, e un po’ di quel che basta per saziare la sete; poiché la sete è una cosa pericolosa”
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