TROPICO DEL CANCRO, di Henry Miller (Feltrinelli)
Ho da poco finito di leggerlo e sono ancora scombussolata per la quantità di sensazioni che mi ha provocato. Dopo le prime pagine, dico la verità, volevo mollare. Poi, non so come, ho trovato delle pagine di poesia, nascoste dalla spregiudicatezza, esagerata per quegli anni, di scene esplicite di sesso, di volgarità a profusione e di dissolutezza nei comportamenti. Diciamo che, se è un romanzo autobiografico, lo scrittore non si è fatto mancare nulla.
Ho trovato una parte che mi sono trascritta, dissacratoria ma appassionante: cit. “Sul meridiano del tempo non c’è ingiustizia; c’è soltanto la poesia del movimento, che crea l’illusione della verità e del dramma. Se in un momento qualsiasi, in un posto qualsiasi, uno si trova faccia a faccia con l’assoluto, allora si gela quella grande simpatia che fa sembrare divini uomini come Gotamo (Buddha) o Gesù; la cosa mostruosa non è che gli uomini hanno tratto rose da questo mucchio di sterco, ma è invece che essi, per una qualche ragione, debbano volere le rose. Per una qualche ragione l’uomo cerca il miracolo, e per ottenerlo è pronto a guadare un fiume di sangue. Si corrompera’ con le idee, si ridurrà un’ombra, purché per un secondo soltanto della sua vita possa chiudere gli occhi alla realtà. Ogni cosa si sopporta: sfacelo, umiliazione, miseria, guerra, delitto, ennui (noia) – nella fiducia che dalla sera alla mattina accada qualcosa, un miracolo che ci renda sopportabile la vita. E intanto dentro di noi gira un contatore e non c’è mano che possa raggiungerlo e fermarlo.
Intanto qualcuno mangia il pane della vita, un grasso sudicio bacherozzo di prete che si nasconde in cantina a gozzovigliare, mentre sopra, nella luce della strada, una moltitudine di fantasmi si sfiora con le labbra e il sangue è pallido come l’acqua. È dal tormento interminabile e dalla sciagura non può venire miracolo, nemmeno il più microscopico vestigio di conforto. Soltanto idee pallide, estenuate, che bisogna ingrassare con la strage; idee che vengono su come la bile, che affiorano come budella di un maiale quando si sventra la carcassa.”
È così sono andata avanti fino alla fine, con difficoltà a volte. Alla volgarità un po’ mi ci sono abituata, quello su cui ho faticato parecchio sono state le descrizioni lunghe e surrealiste che ho paragonato a dei quadri astratti, che purtroppo, per mia ignoranza, non riesco a capire ed apprezzare. Ho anche faticato parecchio a leggere solo di figure femminili negative, prostitute o donne sposate ma comunque di facili costumi. Nessuna scrittrice, pittrice o magari modella. Certamente servivano per rendere il tutto più provocatorio o piccante, ma è così squallido!
La Parigi anni 30 dei bassifondi mi ha invece fatto sognare. Mi sembrava di vivere in quadro impressionista, con la luce del sole, la pioggia sui tetti, i vicoli sporchi, le pensioncine da quattro soldi, i ristorantini all’aperto, i monumenti ricchi di storia, l’atmosfera bohemienne di quegli anni, la Senna dorata: cit. “Il sole tramonta. Sento questo fiume che scorre dentro di me, il suo passato, la terra antica, il clima mutevole. Le colline gli fanno dolce corona: il suo corso è stabilito”. Come la vita, aggiungo io, che scorre via nonostante tutto, e forse alla fine è questo il senso del libro.
Concludo dicendo che la lettura mi ha provocato sensazioni altalenanti di piacere e di disgusto. Non so se leggerò Tropico del Capricorno, per il momento aspetto e metabolizzo questo
Recensione di Loretta Rainato
TROPICO DEL CANCRO Henry Miller
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