TSUGUMI, di Banana Yoshimoto
Ho deciso di leggere Banana Yoshimoto incuriosita dalla passione di una persona che conosco poco ma con cui mi sembra di condividere molto, dove la parola condivisione non è intesa per forza nel senso di analogia di interessi, ma della metodologia – prima fra tutte la lettura – con cui quegli interessi vengono coltivati.
Ho scelto Tsugumi un po’ a caso, un po’ perché attratta dalla breve descrizione della storia sulla quarta di copertina: storie di partenze e ritorni da e per la terra natìa non potevano lasciarmi impassibile.
Quando leggo libri di autori così lontani – geograficamente e culturalmente – da me, mi chiedo sempre, sottovoce, “chissà come suona in lingua originale, chissà se ci sono arzigogoli linguistici che non rendono con la traduzione, chissà come lo starà leggendo un giapponese”.
Me lo sono chiesta anche stavolta ma la risposta è stata delicata tanto quanto la domanda, perché probabilmente la vera capacità narrativa, il vero scrittore è colui che supera frontiere linguistiche e culturali (se mai dovessimo ritenere che ne esistano) e arriva dritto al cuore del lettore.
Tsugumi è una storia raccontata in punta di penna, la storia di tre cugine che trascorrono l’ultima estate tutte insieme nel loro paesino di origine, in riva al mare.
La protagonista è Maria, trasferitasi a Tokyo per studio, ma molto affezionata al suo paese di origine e alle cugine Yoko e Tsugumi. Quest’ultima è una ragazzina apparentemente cinica e spietata che nasconde dentro sé, in profondità, sentimenti positivi ed autentici, che stenta a manifestare.
Una specie di antieroina cagionevole di salute, imprevedibile e spigolosa, incapace di amare nei modi “consueti”.
La narrazione si svolge, con il mare sullo sfondo, nello spazio di un paesino della penisola di Izu, nelle stradine, sulla spiaggia, senza tuttavia apparire eccessivamente statica.
Non c’è la ricerca spasmodica del colpo di scena né della suspance; il lettore rimarrà a passeggiare sulle pagine di Tsugumi non per curiosità ma per il piacere della delicatezza che offrono i paesaggi descritti, che spesso vengono posti in parallelismo con gli stati d’animo dei protagonisti.
Le lunghe camminate sulla spiaggia sono passeggiate interiori; i sentimenti sono descritti senza struggimento, ma con dovizia di particolari.
Una storia normale ma fatta di dettagli teneri ed autobiografici, di immagini ed emozioni, di passi tutti rivolti verso la vita adulta; la nostalgia rimane in sottofondo senza esagerazioni, l’assenza dell’esasperazione nei sentimenti come eco culturale dell’impero della delicatezza.
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