TUTTI GLI UOMINI DEL RE, di Robert Penn Warren (66thand2nd)
Il romanzo racconta l’ascesa politica di un contadino del Sud degli Stati Uniti che dopo aver studiato legge entra in politica tramite un’azzeccata unione di populismo e malintesi interessi progressisti, arrivando a diventare governatore; da qui, per lui diviene naturale puntare al senato e poi, perché no, alla Casa Bianca.
La storia è raccontata dal punto di vista del suo staff: il pavido e viscido Duffy, un tempo avversario, la sanguigna e sagace segretaria Sadie, la dimessa moglie Lucy, il bizzarro autista Sugar Boy e soprattutto Jack Burden, amico e addetto stampa, dall’ingombrante passato “aristocratico” del quale spera di disfarsi attraverso il suo legame con Talos.
Le dinamiche private e politiche si intrecciano in modo sempre più stretto, fino a che il meccanismo si inceppa e per il “re” si prospetta una spettacolare caduta.
Vagamente ispirato a una storia vera, il romanzo di Warren può essere inserito nel genere del romanzo politico che ha fatto spesso la fortuna della narrativa statunitense ma che si presta ottimamente a una lettura “universale” perché analizza in modo dettagliato e critico non solo le dinamiche della politica contemporanea, dei suoi eccessi e delle relazioni più o meno lecite che la animano, ma anche, attraverso la storia collaterale del vero protagonista, offre un interessante e sostanzioso racconto di formazione: Jack Burden, un tempo studente di storia che ha lasciato a metà il dottorato, nel quale l’autore, oltre che se stesso, intende descrivere quella parte della popolazione del Sud degli Sates ancora incapace di scrollarsi di dosso il “peso” (burden, in inglese, tipico “nome parlante”) delle conseguenze della Guerra di Secessione e incapace di trovarsi una collocazione sociale e politica in un mondo in cui disparità di classe, razza e posizione economica ingabbiano ancora la vita quotidiana.
La lenta ma implacabile preso di coscienza di Jack, che va di pari passo con lo svelarsi della reale natura populista e megalomane di Talos, gli permette di analizzare con mente sempre più lucida e distaccata, da storico, il comportamento di chi gli sta accanto, così l’ammirazione e l’amore che crede di provare per chi lo circonda lasciano il posto a una fredda disillusione quando comprende il carattere egoista della madre, l’ambizione della donna amata, la bassezza morale del vecchio giudice che fu una volta suo mentore.
La prosa di Warren, che con questo romanzo ottenne il Pulitzer, è lirica, meditata, ricca di sfumature psicologiche e filosofiche, abile nelle digressioni quanto nelle descrizioni, spesso l’autore fa ricorso a citazioni bibliche, letterarie e attinge a piene mani dal linguaggio e dalla cultura popolare americana e anglosassone, senza però che la traduzione italiana (ho letto quella più recente) pur ottima, riesca sempre a coglierne il sotto-testo, compresa la filastrocca che dà il titolo al romanzo e lo slang tradotto con espressioni un po’ troppo moderne per un romanzo ambientato nei primi anni 30; l’effetto d’insieme è una lettura scorrevole, a dispetto della mole del romanzo e avvincente.
Consiglio questo libro a chi sia interessato a un romanzo dai molti spunti d’attualità, nonché agli appassionati di cinema: infatti, è stato adattato ben due volte per il il grande schermo.
Recensione di Valentina Leoni
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