TUTTO IL BLU DEL CIELO, di Mélissa Da Costa (Rizzoli – marzo 2022)
Eccomi alle prese con un librone di stampo francese, strappalacrime. Me lo ha consigliato un’amica a cui tengo molto. Lei ha pianto, mi ha confidato, a me non ha strappato niente.
Una storia carina, a tratti lenta come i film francesi, a tratti banale e patetica, a tratti interessante, a tratti piatta come le distese olandesi, a tratti frastagliata come i Pirenei dai picchi acuminati, insomma a tratti per un totale di 630 pagine.
La storia nel complesso è ben scritta e sufficientemente articolata seppur ogni tanto cede o si impenna, come un cuore oscillante tra brachicardia e tachicardia. Manca il pathos, per me, lo struggimento di un’anima mediterranea. Che cosa ci posso fare, mi piacciono le storie di fondo, abissali. Storie strappacuore, lacerazione dell’anima. Come le canzoni di Gianna Nannini.
Le lacrime forse le ho già consumate tutte.
La vita è quella che è, un non senso, l’esistenza è quella che ti capita indifferentemente se sei una formica, un cane, un rapace, un agnellino, un uomo o una donna, se vivi qui o vivi qua, là, lì…puoi decidere quanto vuoi, la vita ti sorprenderà sempre nel bene o nel male.
Comunque volevo buttare giù qualche lacrimuccia stagnante, ecco perché ho intrapreso e continuato sino la fine la lettura del libro “blu”.
Niente, di niente.
Né Emile, destinato a una morte precoce, né Joanne e neppure la descrizione dei paesaggi attraversati con il camper, che ho trovato frettolosa e banale, hanno toccato il mio cuore che non si assolutamente sciolto, rimanendo incrostato nel suo sordo dolore.
Tuttavia mi è sembrato corretto leggerlo sino alla fine anche per rispetto della mia sensibile amica, affascinata dalle citazioni (non ha facebook e quindi non sa il logorio delle citazioni e aforismi, ingenua creatura) e dal percorso dei due giovani protagonisti. Vi sembrerà strano ma più per la storia in sé continuavo la lettura immaginandomi l’espressione e l’entusiasmo che questa provocava alla mia amica, le sue lacrime, i suoi turbamenti. E ciò mi ha permesso di continuare e di apprezzare, in linea di massima, la storiella, perché mi ha fatto stare bene. Pensavo a lei, deliziosa anima candida che sa ancora vibrare! È stato il suo pensiero a commuovermi. Senza il pensiero di lei, forse avrei accantonato il librone per riprenderlo in tempi migliori.
È anche questo il bello di condividere le letture? Credo di si.
Non di meno il romanzo dovrebbe trattare i temi di rinascita e di crescita interiore. Sarà quel che sarà, sta di fatto che il romanzo in sé e per sé a me non ha fatto vibrare alcunché, se non per i motivi suesposti (amica mia).
Forse perché la vita la prendo già cosi, come i due protagonisti, e la morte la vedo sempre dietro ogni fessura.
Che cosa mi doveva insegnare la storia di Émile e Joanne?
Vedo aurora, alba, tramonto e crepuscolo in ogni dove, sento la pioggia che lava i miei peccati, sento il calore del sole sulla mia pelle che si spella e rinnova. Mi illumino come una vetrata colorata baciata dai raggi, mi spengo così come una fiammella di mozzicone di candela investita da un soffio improvviso di vento.
Aspetto “la pazienza è la più grande delle preghiere “.
Cosa aspetto e di che cosa devo avere pazienza, ancora oggi non l’ho capito. E questa storia colorata di blu non ha risolto i miei enigmi.
A ogni modo non è stata una lettura inutile, come ogni lettura del resto. Bisogna sempre cogliere qualcosa. Mi ha fatto passare un po’ di tempo con i due innegabilmente transalpini, giovani protagonisti già abbastanza provati dagli eventi e che hanno deciso, da perfetti sconosciuti, di intraprendere un viaggio senza meta. Ha confermato la validità e l’importanza degli istanti, del presente, l’inutilità di un passato e di un ansiolitico futuro. Il solito, difficile e inflazionato Carpe diem.
E palesemente ha rimarcato la solita solfa: la vita continua indifferentemente; bisogna cogliere l’attimo, assaporare i gesti, i sapori, gli odori, trovare piacere nelle cose insignificanti, nei piccoli gesti quotidiani etc…
Già, sta di fatto che per quanto si è consapevolmente preparati a morire, la morte ti coglie sempre di sorpresa vanificando quegli attimi che si perdono in un’inutile e dannosa speranza. Stronza birichina!
Non si muore mai soddisfatti, si muore rassegnati e non c’è niente da fare.
Ma la vita continua, a quanto pare, e se vuoi vivere prima o poi si deve morire. E da quel primo miracoloso vagito che…già, già, già e già
“Quando non si può tornare indietro, bisogna soli preoccuparsi del modo migliore per avanzare”.
Recensione di Patrizia Zara
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Sono rimasta abbastanza delusa dal libro, forse perché le aspettative erano alte e il potenziale c’era. Per poter reggere e arrivare fino alla fine ho dovuto saltare diverse pagine. Ho trovato il racconto piatto, con continui flash back, riferiti alla vita del protagonista, abbastanza noiosi. Nessun dettaglio dei luoghi visitati, nessun particolare dei protagonisti a cui affezionarsi, una voce narrante con una prospettiva abbastanza piatta e apatica, un dramma quasi forzato che spesso finisce nel patetico. Ho comprato il libro perché avevo letto un commento sui social di una ricetta particolare (la composta di lavanda) che i protagonisti cucinavano insieme e l’idea del viaggio, dei campi di lavanda, di due protagonisti conosciutisi poco prima di partire mi aveva creato parecchie aspettative. Della stessa autrice ho letto “I quaderni botanici di Madame Lucie…” e credo a questo punto di non trovarmi proprio con lo stile dell’autrice…peccato perché l’idea iniziale in entrambi i libri era vincente ma sviluppata male, anzi malissimo.